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Vi spiego cosa non fa l’Unesco per la cultura e la pace. Parla Di Segni (Ucei)

Noemi Disegni

“Questo è un momento in cui c’è estremo bisogno di strutture valide e forti, e la serietà delle organizzazioni internazionale va salvaguardata” dice a Formiche.net Noemi Di Segni, eletta dal luglio del 2016 presidente dell’Unione delle comunità ebraiche. Si parla dell’Unesco e della decisione del presidente Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’organizzazione che si occupa di Cultura per le Nazioni Unite. “Sotto quest’ottica è comprensibile la decisione di Trump”, aggiunge Di Segni. (La Washington trumpiana non ama questo genere di strutture multilaterali, ne chiede un riallineamento più operativo, le considera, pensiero velato dal minimo di forma diplomatica che anche Trump si dà nelle esternazioni, carrozzoni succhia-soldi).

Tra le motivazioni che hanno portato Trump alla rottura c’è, diciamo così, la china anti-israeliana presa dall’agenzia. “La mossa di Trump è un’occasione per ribadire ciò che si sostiene da tempo – continua Di Segni – perché è un questione di contenuti e contenitore. Quanto al contenitore, l’Unesco non realizza la propria missione principale perché è fortemente strumentalizzato, e dunque la domanda è: quanto fermamente riesce ad assolvere il proprio ruolo internazionale?” e si torna sul tema della serietà. E sul contenuto? “È difficilmente accettabile quello che è stato fatto dall’Unesco quest’anno: potremmo dire che è anche soltanto una questione di stile. È stato consentito di mettere a votazione la negazione assoluta della storia. Insomma, possiamo discutere di tutto, dei negoziati dei territori, ma qui stiamo facendo un discorso di verità”. Di Segni si riferisce al documento con cui l’agenzia ha praticamente smaterializzato il rapporto storico tra il popolo ebraico e il complesso religioso della Città santa: è stato approvato all’inizio di maggio, l’Italia fu uno dei paesi che votò contro. “Ed è qui che il problema raddoppia – continua la presidente – perché si torna ai compiti, che dovrebbe essere l’aiutare a educare proprio perché si è in un contesto come la cultura. L’obiettivo, sì, dovrebbe essere quello di riuscire ad educare enti, soggetti e stati ad usare strumenti della diplomazia matura”.

Il giorno dopo dell’annuncio della decisione americana, l’Unesco ha votato la sua nuova presidente, la francese, ex ministra della Cultura del governo Hollande (pare sia stato proprio l’ex presidente, a fine mandato, a spingerla a candidarsi), Audrey AzoulayHamad bin Abdulaziz al-Kawari (30 voti contro 28 dell’assemblea esecutiva, uno di quelli decisivi arrivato proprio dall’Italia che su di lei ha tenuto da sempre il punto). Kawari da ministro ha fatto nominare dall’Unesco Doha a capitale della cultura araba: era il 2010, in quello stesso anno ci fu molta polemica perché alla fiera internazionale del libro della capitale qatarina furono esposti dozzine di titoli antisemiti (tra cui nove edizioni dei “Protocolli dei Savi di Sion” e quattro del “Mein Kampf”). Sempre Karawi è stato accusato di aver curato con toni complottisti e antisemiti la prefazione di “Jerusalem in the Eyes of the Poets”, un libro che denuncia il controllo degli ebrei sui media e dà responsabilità a Israele di essere la ragione di molti dei conflitti attuali, dal Golfo all’Iraq, dall’Afghanistan al Sudan.

Quando la francese presentò formalmente la volontà di candidarsi, si sollevò un coro di protesta guidato da una cinquantina di intellettuali arabi che la definirono una “scandalosa provocazione”, perché a quel punto, dopo decenni di guida europea, l’Unesco – dicevano loro – doveva passare sotto qualcuno appartenente al mondo arabo. Non è chiaro quanto la mossa di Trump abbia influenzato la votazione finale, ma come fa notare Di Segni è da registrare il timing con cui è avvenuta – il Qatar è molto criticato sul tema dei diritti umani (vedere le vicende collegate alla preparazione dei Mondiali del 2022) e da qualche mese è sotto l’occhio del ciclone perché accusato apertamente dagli altri stati del Golfo di finanziare gruppi terroristici e in generale l’islamismo più spinto (un altro voto decisivo per la vittoria di Azoulay è arrivato dall’Egitto, uno dei paesi che fa parte del blocco che ha isolato diplomaticamente Doha). Azoulay è ebrea.

 

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