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Papa Francesco, il pane e l’amore

“La relazione tra fame e migrazioni può essere affrontata solo se andiamo alla radice del problema. A questo proposito, gli studi condotti dalle Nazioni Unite, come pure da tante Organizzazioni della società civile concordano nel dire che sono due gli ostacoli principali da superare: i conflitti e i cambiamenti climatici”. E’ stata questa una frase centrale nel discorso pronunciato ieri da Papa Francesco alla Fao.

Le elezioni austriache, che hanno preceduto di poche ore il suo intervento, avevano appena confermato che siamo in un’epoca segnata dalla paura. Una paura destinata a crescere, visto che le stime più logiche e prudenziali pongono a 300 milioni di africani il numero di coloro in estrema necessità pronti a tentare la via della migrazione nei prossimi anni. Eppure le risorse alimentari aumentano, così come gli sprechi. Così Jorge Mario Bergoglio ha deciso di parlare a questa paura in modo diretto ed esplicito. No, Bergoglio questa volta non si è soffermato sulla necessità di costituire ponti piuttosto che muri, ha preferito dire espressamente e chiaramente che nessun muro, ideologico, materiale, filosofico, riuscirà a fermare i protagonisti di questo nostro tempo globale, i migranti, per i quali la distinzione tra migranti economici e migranti politici è un sofisma di scarso valore.

Portatore di una proposta di umanesimo integrale, tanto evangelico quanto logico e razionale, a differenza della paura, che è illogica sebbene naturale perché viscerale, Bergoglio ha impietosamente fotografato un mondo nel quale la globalizzazione reale, affidata a poteri finanziari autoreferenziali e irresponsabili davanti agli elettori, abbandona le periferie del primo mondo, sfrutta in modo selvaggio il suolo e il sottosuolo del terzo mondo, causa i mutamenti climatici e le carestie da essi provocati, lucra su guerre tanto sanguinose quanto interminabili. Stanno qui le origini di una tragedia epocale, lo sradicamento dalle loro terre di intere popolazioni, obbligate a migrazioni di massa.

Per governarle il Papa propone di aprire gli occhi e scegliere l’interdipendenza, la consapevolezza cioè che fondi avvoltoi, politiche predatorie, commercianti di armi e altri soggetti non potranno che aggravare questo stato di cose, inducendoci a rifugiarci nella paura dell’altro. Ma noi siamo cittadini del mondo, non più (se mai è stato davvero così) di mondi separati e governabili con i tornelli dei supermercati, che consentono l’ingresso delle merci africane ma non di quei cittadini. Questo è impossibile. La risposta del mondo consapevole sta dunque nel capire che lo sviluppo altrui è garanzia del nostro sviluppo, e quindi solo la consapevolezza che nel mondo globale solo la consapevolezza di essere interdipendenti ci salverà. Questa interdipendenza per il successore di Pietro si chiama “amore”.

Un discorso allarmato e chiarissimo che Bergoglio ha voluto concludere con queste parole: “Il giogo della miseria generato dagli spostamenti spesso tragici dei migranti, può essere rimosso mediante una prevenzione fatta di progetti di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi climatiche e ambientali. La prevenzione costa molto meno degli effetti provocati dal degrado dei terreni o dall’inquinamento delle acque, effetti che colpiscono le zone nevralgiche del pianeta dove la povertà è la sola legge, le malattie sono in crescita e la speranza di vita diminuisce. Sono tante e lodevoli le iniziative messe in atto. Tuttavia, non bastano; è necessario e urgente continuare ad attivare sforzi e finanziare programmi per fronteggiare in maniera ancora più efficace e promettente la fame e la miseria strutturale. Ma se l’obiettivo è favorire un’agricoltura che produca in funzione delle effettive esigenze di un Paese, allora non è lecito sottrarre le terre coltivabili alla popolazione, lasciando che il land grabbing (accaparramento di terre coltivabili da parti da parte di entità o stati esteri, ndr) continui a fare i suoi profitti, magari con la complicità di chi è chiamato a fare l’interesse del popolo. Occorre allontanare le tentazioni di operare a vantaggio di gruppi ristretti della popolazione, come pure di utilizzare gli apporti esterni in modo inadeguato, favorendo la corruzione, o in assenza di legalità”.

Il Papa non ha avuto paura di parlare dopo il voto austriaco, di usare espressioni forti, di ricordarci che siamo chiamati a mutare stile di vita se vogliamo salvare la casa comune. Ma l’atto di più grande attaccamento al nostro occidente europeo Bergoglio, che di nascita non ne è cittadino, lo ha fatto invitandoci ad aprire gli occhi, a capire che è la paura che ci ucciderà, non certo la migrazione di cittadini che ci arricchirebbero della loro diversità e del loro lavoro e che solo un patto globale può ricondurre a livelli filologici e non patologici. Altrimenti, come è accaduto esattamente un secolo fa, una guerra mondiale finisce, come una sembra stia finendo, e la seconda si prepara, come se si sbaglia a capire quanto accade potrebbe accadere di nuovo.

L’avviso o meglio l’invito pressante di Papa Francesco all’Europa è stato dunque quello a ricordarsi di essere cristiana, ma forse ancor prima di questo a ricordarsi che solo la ragionevolezza ci salverà. E il suo amore, che significa consapevolezza dell’interdipendenza, è estremamente ragionevole.

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