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Ecco la situazione dei crediti deteriorati in Italia e in Europa. Report First Cisl

L’incidenza dei crediti deteriorati sul patrimonio dei maggiori gruppi bancari italiani non lascia dubbi sul forte peso degli Npl nel sistema del credito nazionale. Soprattutto se si dà uno sguardo sinottico al resto del panorama europeo. La possibilità arriva grazie a una ricerca elaborata in esclusiva per Formiche.net dal Centro Studi di First Cisl, uno dei più importanti sindacati che opera nel settore bancario-assicurativo. First ha confrontato il bilancio a giugno 2017 di Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Mps e Ubi Banca con quelli dei principali istituti austriaci, tedeschi, danesi, spagnoli, francesi, olandesi e polacchi. In totale sono stati presi in esame i dati di 32 gruppi. Per l’austriaco Santander Consumer Bank e per i francesi Crédit Mutuel e BPCE SA ci si riferisce all’esercizio relativo a dicembre 2016 mentre per lo spagnolo La Caixa a quello di dicembre 2015 e per Caixabank a marzo 2017. Infine, bilancio a marzo di quest’anno per il polacco mBank.

LA RICERCA DELL’UFFICIO STUDI

Come si diceva, nell’articolato quadro offerto dal sindacato a colpire in particolare è il rapporto tra Npl e patrimonio. In Italia si va dal 117,30% del secondo gruppo nazionale (Intesa Sanpaolo) a 136,93 del quinto (Ubi Banca), al 174,78% del primo (Unicredit) al 215,55% del terzo (Banco Bpm) al 691,50 del quarto (Montepaschi). Cifre ben lontane, ad esempio, dall’11,49 di Deutsche Bank (che ha un attivo di quasi 1.600 miliardi) e dal 19,48% di DZ Bank – secondo e terzo del ranking tedesco – o del primo gruppo spagnolo, Banco Santander, con 31,72% e un attivo di oltre 1.339 miliardi. Meglio fanno anche gli istituti francesi a partire da Credit Agricole (26,40) e Société Générale (35,98%) e tutti gli altri presi in esame con l’ottima performance della piccola banca polacca ING Bank Slaski (19,82%) che vanta un attivo di soli 26,6 miliardi e dell’austriaca BAWAG P.S.K. (19,48%).

Pure il rapporto tra crediti deteriorati e crediti lordi vede l’Italia prima in classifica con una media che sfiora il 20% e tocca il 33,61% in Mps. In Germania – che ha le percentuali più basse con l’1,71% di Deutsche Postbank e l’1,77% di Deutsche Bank – non si arriva al 3%, in Austria e in Francia ci si ferma poco sopra il 4,5%; peggio fanno gli istituti polacchi (sopra il 5%) e quelli spagnoli (sopra il 6%). Da notare il 2,62% fatto registrare dal primo gruppo danese, Danske Bank, che ha un attivo di 468,5 miliardi.

Stando così le cose, il nostro Paese non può che essere leader nelle riserve sui crediti deteriorati con oltre 122 miliardi (di cui oltre 80 miliardi sono di Unicredit e Intesa Sanpaolo) a fronte dei poco più di 14 miliardi in Germania (di cui 4,5 miliardi in Deutsche Bank), dei 61,1 miliardi in Spagna (di cui oltre 40 miliardi in Banco Santander e in Banco Bilbao Vizcaya Argentaria) e dei 77,7 miliardi in Francia (di cui oltre 48 miliardi in BNP Paribas e in Crédit Agricole (primo e secondo istituto nel ranking nazionale per attivo).

In totale i gruppi italiani presi in esame hanno in pancia oltre 216 miliardi di Npl, quasi 10 volte di più di quelli tedeschi (25,2 miliardi): basti pensare che la prima banca nel ranking italiano, Unicredit, ne ha 75,4 miliardi e la prima in quello tedesco, Deutsche Bank, ne ha 7,4 miliardi. Le cifre salgono in Banco Santander (oltre 32,5 miliardi) e in BNP Paribas (oltre 41,7 miliardi), in cima alla classifica nazionale spagnola e a quella francese. Importi molto più bassi in Olanda (32 miliardi), in Austria (10,6 miliardi) e in Polonia (poco più di 7,6 miliardi).

Non troppo marcate le distanze, invece, per quanto riguarda il rapporto fra accantonamenti sui crediti deteriorati e il totale degli Npl, con cui si indica la quantità di crediti deteriorati che potrebbe essere riscossa dai creditori o ulteriormente svalutata. In sostanza, il rischio rimanente. Nel sistema bancario italiano in media è intorno al 51% e in quello tedesco è al 55,7%. Meglio fanno la Francia (quasi 62%) e la Spagna (59,5%), ancor di più la Polonia (67,8%) e l’Austria (oltre 69,7%) ma mai quanto la prima banca danese, 98,16%.

L’ADDENDUM DELLA BCE

Se la situazione italiana è particolarmente difficile, vero è pure che in generale quello dei crediti deteriorati è un problema che in Europa nessuno può sottovalutare. Per questo lo scorso 4 ottobre la Bce ha pubblicato un Addendum alle linee guida sulla gestione degli Npl da parte delle banche Ue. Nel documento Francoforte prevede svalutazioni automatiche per il 100% dell’ammontare dei crediti deteriorati non garantiti dopo due anni e di quelli garantiti dopo sette anni. Regole che però si applicano solo ai crediti che entrano in sofferenza a partire dal primo gennaio 2018. Tempi e modalità di entrata in vigore dell’Addendum non sono stati ancora definiti e si attende un ripensamento o comunque qualche limatura a queste nuove regole visto che si è levato un coro di voci contrarie. Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha invitato alla prudenza perché “nel contesto attuale ogni azione di policy deve considerare il delicato equilibrio tra l’obiettivo di accelerare la soluzione del problema dei deteriorati e l’obiettivo di preservare la stabilità finanziaria”. Una richiesta di rivedere le nuove indicazioni è arrivata dalla Federazione bancaria europea (Fbe) secondo cui peraltro “i requisiti più stringenti mettono le banche europee con esposizioni al di fuori dell’Eurozona in una condizione di svantaggio competitivo rispetto alle banche locali”. Il servizio giuridico del Parlamento europeo ha invece evidenziato come non spetti alla Bce – che non ha le competenze – adottare l’Addendum perché i suoi contenuti hanno valore normativo. Insomma, Francoforte rischierebbe di invadere il campo del legislatore.

IL COMMENTO DI FIRST CISL

Altre valutazioni arrivano invece dalla First Cisl, a commento dello studio elaborato per Formiche.net. Il segretario generale, Giulio Romani, invita a prendere in considerazione diversi aspetti. “Se dovessimo dare retta alla fredda legge dei numeri, hanno ragione i burocrati europei: rispetto alle loro consorelle di altri paesi, le maggiori banche italiane hanno un volume più alto di Npl e un tasso di copertura più basso”, ha affermato Romani. Che poi ha aggiunto: “Il problema, però, è che le statistiche costruite secondo i criteri europei rischiano di essere di essere come quelle del pollo di Trilussa, per il quale se una persona mangia un pollo e un’altra digiuna in media ne hanno mangiato mezzo a testa. Il lato debole è che non tengono in alcun conto delle reali capacità di recupero che le banche dei diversi paesi sanno esprimere”. Secondo Romani, “anziché applicare indicatori tarati su scala europea per dare soluzione al tema degli Npl riteniamo sia necessario rafforzare il processo di valutazione e di gestione del rischio e in parallelo individuare indici di copertura dei nuovi flussi di crediti deteriorati basati sui tassi di recupero effettivo ottenuti attraverso la gestione paziente in house delle posizioni, e questo tanto meglio nell’ambito di un progetto unico nazionale”.

E anche Riccardo Colombani, responsabile dell’ufficio studi di First Cisl, ha invitato ad andare oltre i semplici numeri: “Nei paesi il cui sistema giudiziario consente tempi di recupero molto rapidi è certamente fondata una richiesta di copertura del 100%, perché se un credito deteriorato non viene recuperato in periodi brevi è evidente che non è più realizzabile e dunque deve passare presto e interamente a perdite”. Diverso però è il caso dell’Italia dove “i tempi che intercorrono fra l’iscrizione di una posizione fra i crediti dubbi e l’esito dell’iter di recupero sono, come noto, amplificati a causa della lentezza della giustizia e dunque, per essere realisti, nella realtà italiana anziché del fattore temporale si dovrebbe tener conto dell’elemento che può porre le banche italiane sotto una luce completamente diversa e richiedere tassi di copertura ben inferiori”.

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