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Vi racconto tutti i travagli giudiziari di Trump. Parla Roger Pilon

Questo venerdì la firma del presidente Donald Trump sulla riforma fiscale ha messo la parola fine sulla lunga battaglia repubblicana contro il fisco. È la prima volta dall’insediamento che il presidente può dichiarare vittoria senza dover temere defezioni fra i parlamentari del suo stesso partito. Non si può dire lo stesso delle decine di provvedimenti rimasti in cantiere, non di rado per l’ostruzione degli stessi repubblicani. Ma anche per una sfilza di sentenze sfavorevoli dei giudici federali, specie su temi delicati come le restrizioni all’immigrazione. Non solo di toghe amiche dei democratici: è di pochi giorni fa la notizia di un crescendo di frizioni fra Trump e Neil Gorsuch, il giudice da lui nominato alla Corte Suprema. Formiche.net ha ripercorso i travagli giudiziari di Trump di questo primo anno alla Casa Bianca assieme a Roger Pilon, (nella foto), uno dei più celebri costituzionalisti americani, vice-presidente del Cato Institute.

Professor Pilon, ultimamente sono volate scintille a distanza fra Donald Trump e Neil Gorsuch. Crede che il giudice gli sarà leale?

No, perché non è questo il ruolo proprio di un giudice. La Corte Suprema non è una corte politica, deve applicare la Costituzione così come è scritta. Se Trump teme che Gorsuch non gli sia leale sbaglia in partenza. Conosco Gorsuch da trent’anni, è un giudice bravo che applicherà la legge onestamente a prescindere dalle ripercussioni politiche che ci potrebbero essere.

Fra tanti ostacoli incontrati nel corso del primo anno alla Casa Bianca, la nomina di Gorsuch è un successo?

Assolutamente. Il più grande successo riscosso da Trump in questo primo anno consiste nelle nomine dei giudici delle corti di appello e, nel caso di Gorsuch, della Corte Suprema. Sono tutti giudici di prima qualità, che fanno parte del movimento che da trent’anni a questa parte cerca di riportare le corti americane ad essere corti e non tribunali politici.

I democratici però accusano il presidente di puntare su giudici inesperti, con scarsa esperienza all’interno del foro.

In uno o due casi è vero. Ma nella maggior parte dei casi sono accuse false, Trump ha nominato giudici estremamente qualificati, molti li conosco di persona. Per il bene del Paese, il presidente prima ha dato ascolto ai suoi consiglieri giuridici, soprattutto a Don McGahn.

Sembra che Trump per attuare il suo programma, come nel caso del cosiddetto Muslim ban, abbia dovuto fare i conti con una dura opposizione di una parte del sistema giudiziario.

È vero. Il Travel ban è stato ostruito soprattutto nella sua prima versione, che effettivamente non era stata ben pensata, tanto che i giudici delle corti minori, la maggior parte dei quali di nomina democratica, l’hanno trovata incostituzionale. La Corte Suprema ha poi parzialmente ribaltato le loro sentenze, sostenendo che rientrasse nell’autorità del presidente l’uso del potere esecutivo per risolvere problemi legati all’immigrazione.

Cosa ne sarà adesso?

La Corte Suprema ha annullato le sentenze delle corti minori rispedendo loro il dossier. Le corti federali hanno risentenziato contro il travel ban, che adesso tornerà alla Corte Suprema. Insomma, non solo è in corso uno scontro fra il presidente e i giudici federali nominati da Barack Obama da una parte, ma anche fra la Corte Suprema e gli altri tribunali.

Crede sia corretto da parte dei giudici federali ostruire così pesantemente il programma politico del presidente? Penso ad esempio alla revisione del DACA, il decreto di Obama sull’immigrazione che scade il prossimo 5 marzo.

Non solo è corretto, ma è previsto dalla Costituzione. Siamo fortunati ad avere in America una forte tradizione di revisione giudiziaria delle azioni del legislatore e del presidente.

Alcuni però hanno messo in dubbio la costituzionalità del decreto di Obama.

Il programma del DACA è stato approvato da Barack Obama sotto la sua autorità. In molti ritennero che fosse incostituzionale, perché il presidente non aveva l’autorità per farlo. Non è l’unica volta che Obama ha travalicato le sue funzioni. È successo anche quando ha nominato tre persone nel Comitato Nazionale del Lavoro (NLRB) senza passare per l’approvazione del Senato. In quel caso la Corte Suprema ha annullato la nomina all’unanimità, dunque compresi i giudici da lui nominati.

Lei è considerato uno dei più autorevoli costituzionalisti libertari americani. Crede che il programma di Donald Trump sia un programma liberale?

No, Donald Trump sta agendo contrariamente ai principi liberali. Il suo programma di restrizioni al commercio è contro il principio del libero mercato. Per fortuna però le sue azioni sono decisamente migliori delle sue parole.

Cosa pensa della riforma del fisco appena divenuta realtà? È una riforma solo per i ricchi come accusano i democratici?

No, il quadro è più complicato. Da lungo tempo è necessaria una riforma delle tasse. La principale ragione per cui i ricchi sono i più interessati da questa riforma è perché sono loro a pagare la maggior parte delle tasse. Circa la metà degli americani non paga una tassa sul reddito: l’unico modo per ridurre il fisco è dunque abbassare le tasse per l’altra metà.

È anche vero che molti dei ricchi, comprese le imprese di grandi dimensioni, preferiscono evadere piuttosto che pagare le tasse.

Questa è colpa del codice fiscale. Le imprese fuggono all’estero perché il fisco non è sostenibile negli Stati Uniti. Ci vogliono mesi interi per pagare le tasse in America, io devolvo al fisco il 50% del mio stipendio.

Crede che anche l’Obamacare debba essere affossato?

Si ritiene spesso che il sistema sanitario americano sia un sistema di libero mercato, non è così. Da anni le persone comprano l’assicurazione medica dal loro capo di lavoro invece che dai privati, il sistema sanitario è soffocato da una montagna di regolamenti che ora i democratici vorrebbero rendere ancora più grande. In questi anni gli Stati Uniti si sono lentamente trasformati in un sistema di previdenza sociale. Gli americani continuano a chiedere sempre più servizi dal governo, ma non sono disposte a pagarli con le tasse. Il risultato è che di anno in anno il debito nazionale è cresciuto vertiginosamente fino a un picco di 20 trilioni di dollari.

(Foto: Georgetowner.com)

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