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Raggi da Santoro non svela cosa bolle nella pentola della giunta romana

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È stata una Raggi ieratica quella che si è vista in casa Santoro. Altro che esercizio zen, come preconizzato da Matteo Renzi. Di più: come si dice a Roma. E mentre sullo schermo scorrevano le immagini del disastro romano – dai rifiuti ai trasporti – in alcuni momenti la sindaca sembrava lievitare verso il Nirvana. Imperturbabile di fronte alle accuse. E pronta, grazie alla complicità del fatto di non essere fisicamente presente nell’arena, a ripetere il precompilato che le era stato fornito. Dialogo tra sordi: che non ha permesso di capire cosa bolle effettivamente nella pentola della giunta romana, oltre le frasi di circostanza: stiamo lavorando, abbiamo bisogno di tempo, il disastro ereditato non consente soluzioni miracolose e via dicendo.

Michele Santoro, per la verità, non ha infierito. Gli stessi servizi d’accompagno, pur corretti nella cronologia degli avvenimenti, non hanno offerto alcunché di nuovo. Unico piccolo brivido: la denuncia di parcelle milionarie a favore del commercialista che sta curando il concordato preventivo di Atac. Di cui si è molto dubitato circa la sua effettiva capacità di fornire un quadro veritiero dei grandi guasti che hanno accompagnato la vita della più grande municipalizzata italiana. Accuse fondate? Non sapremo dire. Presto vi sarà, comunque, il momento della verità. Il piano dovrà essere, infatti, presentato al giudice. Ed allora sapremo.

Per la verità una piccola lacuna nel dipanare la tela, l’abbiamo colta. Nessun accenno alla figura di Massimo Colomban: una delle tante meteore che hanno calcato, per un lasso di tempo limitato, il palcoscenico romano. Inviato da Casaleggio, doveva predisporre il piano per il riordino delle municipalizzate capitoline. Una scelta tutt’altro che condivisa dai vertici del Comune. L’opposizione di Andrea Mazzillo, assessore al bilancio, era stata particolarmente rumorosa, contro gli uomini venuti dal Nord. Per risolversi alla fine nelle dimissioni di quest’ultimo: reo di aver contestato le decisioni prese dall’Entità suprema del movimento.

Colomban – “uomo del fare” con una ricca esperienza imprenditoriale alle spalle – aveva diagnosticato, fin dall’inizio, l’impossibilità di garantire la gestione pubblica di Atac. Troppo malandata e compromessa la sua gestione. Troppe le lacune operative, in una pletora di dirigenti dalle incerte funzioni. Troppo elevato il debito da smaltire. Meglio allora – questa la sua tesi – individuare un partner privato, di comprovata esperienza, in grado di gestire l’intera questione. Parole al vento: il movimento resta convinto che quest’opzione è fuori dallo schema identitario dei 5 stelle. Che a Roma hanno un connotato di “sinistra”. Altrove non si sa.

Virginia Raggi ha cercato goffamente di difendere questa scelta, dimostrandosi impreparata. Se arrivano i privati – questa la risposta – le corse periferiche rischiano di deperire, salvo aumentare il costo del biglietto ad un prezzo esorbitante, per garantirsi un utile. Errore da matita rossa. L’affidamento presuppone un bando di gara. Quindi un contratto di servizio con l’aggiudicatario. Nel relativo capitolato sono specificate tutte le condizioni. E se queste sono disattese, scattano le penali. Come spesso capita, si gioca sull’equivoco. La privatizzazione è della gestione del servizio, ma la sua titolarità resta in capo all’Amministrazione pubblica. Che ne controlla l’esecuzione ed è in grado di intervenire ogni qual volta si verifica il disservizio.

Più disarmanti le risposte in tema di raccolta dei rifiuti. Il fiore all’occhiello – si fa per dire – è l’avvenuta raccolta porta a porta nel quartiere ebraico della Capitale. Settecento anime e la differenziale. Virginia Raggi rivendica: “una sperimentazione di grande successo, con la raccolta differenziale giunta al 75 per cento”. Quel traguardo che l’Amministrazione intende perseguire per tutta la città da oggi al 2021, quando finalmente i romani vedranno il paradiso dopo anni di purgatorio, se non di vero e proprio inferno. Ottenuti questi risultati, la sperimentazione si estenderà a due altri Municipi. Che sono, tuttavia, – precisa sempre la Sindaca – due città vere e proprie per latitudine e numero di abitanti.

La domanda che sorge spontanea è, innanzitutto: perché non si è cominciato prima? Se sperimentazione era da fare, poteva essere avviata il giorno dopo che la Giunta si era insediata e non a distanza di mille giorni. Ma il tema ha una portata più generale. I grillini in generale e Virginia Raggi, in particolare, non sono scesi da Marte. Erano presenti in Campidoglio, seppure come forza di opposizione, fin dai tempi del sindaco Marino. Si erano fatti un idea della città che forse sarebbero stati chiamati ad amministrare? Il programma elettorale, su cui avevano chiesto il voto dei romani, indicava una possibile strategia, per far fronte ai drammatici problemi della Capitale, oppure, era sola acqua fresca? Tanta cattiva ideologia e la consapevolezza di godere di una posizione di rendita, di fronte al fallimento dimostrato dalle altre forze politiche.

Questi sono i nodi che sono venuti al pettine. Ed ora i grillini sono disarmati. Lo sono nelle città che amministrano, ma lo sono ancor più sul terreno nazionale. Non basta, infatti, sostenere tutto e il contrario di tutto. La malattia, specie quando è blanda, produce degli anticorpi. Nei confronti degli elettori è una sorta di vaccino. Uno di quei vaccini che Luigi Di Maio vorrebbe eliminare.

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