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Il pressing degli Stati Uniti per una soluzione della crisi in Ucraina. Quella telefonata fra Putin e Poroshenko

Lo sforzo diplomatico attorno alla crisi ucraina inizia a prendere una buona strada, ci dice in maniera discreta una fonte diplomatica con ottime conoscenze del dossier e entrature sia a Kiev che in Occidente. C’è misurato ottimismo, “cautela”, spiega la fonte di Formiche.net, che ovviamente per parlare più liberamente sceglie l’anonimato, ma lo sforzo “delle persone di buona volontà, sia in Ucraina, che in Russia, che negli Stati Uniti, sta iniziando a prendere forma” (e l’Europa? “L’Europa deve certamente fare di più, e farlo meglio, pure l’Italia: non è che c’è solo la Libia da trattare!”).

Per esempio, lunedì il presidente Petro Poroshenko ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo russo Vladimir Putin: i due capi di stato hanno discusso materialmente l’agenda dei prossimi incontri del Formato Normandia (che vede seduti al tavolo i rappresentanti di Germania, Francia, Russia e Ucraina), il sistema meccanismo internazionale che sta lavorando per risolvere la crisi in via politica. “Il colloquio è andato bene, e una cartina di tornasole è la sua durata”, commentano gli ambienti diplomatici: oltre un’ora di conversazione, che fa pensare non a un semplice contatto formale, ma a un colloquio più “morbido”.

In questi giorni il dipartimento di Stato americano ha annunciato che il 21 febbraio il vice-segretario John Sullivan sarà in Ucraina. Secondo lo statement di Foggy Bottom, Sullivan a Kiev sottolineerà “l’importanza che l’Ucraina attui rapidamente le riforme economiche e anti-corruzione”, e rimarcherà “il sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina”. Previsti incontri con le figure più rilevanti del governo, il premier e il ministro degli Esteri, e con lo stesso Poroshenko, tutto sotto il doppio canale: la richiesta pressante affinché Kiev metta mano ai disequilibri interni e l’azione di sostegno sui diritti territoriali violati dall’occupazione crimeana e dalla successiva apertura del fronte del Donbass.

Sullivan è il secondo notabile dell’amministrazione statunitense a recarsi nel paese nel giro di meno di quattro settimane. Alla fine di gennaio, un tour nel paese lo aveva compiuto già l’inviato speciale della Casa Bianca, Kurt Volker, rimarcando le stesse linee: l’implementazione e il rispetto degli accordi di Minsk è il passo sostanziale e imprescindibile per riportare la stabilità (e da lì possono partire le discussioni sul se concedere a Mosca aperture sul sistema sanzionatorio che aveva seguito la crisi innescata in Ucraina), mentre Kiev deve lavorare per le riforme.

Volker, che fino a poche settimane fa si muoveva con scetticismo sul dossier, ultimamente ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “pronti a contribuire” in maniera efficace affinché la crisi ucraina si risolva. Fanno eco le parole del ministero degli Esteri russo, che ha definito “incoraggiante” l’incontro – nel territorio neutro di Dubai – tra Volker e il suo omologo russo, che lo scorso mese ha seguito la visita ucraina del messo americano.

Anche a questo quadro meno visibile delle violazioni e delle dichiarazioni velenose che si alzano da Kiev e dal Donbass (e le sparate che appaiono su alcuni media propagandistici), probabilmente gli americani hanno ripreso in mano il dossier in modo vigoroso.

L’argomento è stato affrontato anche dal capo del Pentagono, James Mattis, durante la ministeriale Nato che si è svolta in questi giorni a Bruxelles. Da lì, per altro, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha annunciato che nell’ambito della conferenza di Monaco incontrerà personalmente Poroshenko, e – circostanza ormai rara – speso parole d’apertura nei confronti di Mosca: “Cerchiamo migliori relazioni con la Russia”, ha detto. Posizione di per sé incoraggiante se si considera che l’anemia nei rapporti Nato/Russia è strettamente collegata all’annessione della Crimea e agli scompensi prodotti nelle regioni orientali ucraine.

Da seguire poi certi spostamenti: Sullivan, prima di Kiev, passerà per l’Italia, dove resterà per due giorni (incontri riservati in programma, unica presenza pubblica al Centro Studi Americani di Roma); e ancora, prima della visita italiana, avrà incontri di alto profilo con i partner internazionali alla Security Conference di Monaco – da cui poi prenderà piede il nuovo incontro del Formato Normandia.

Il dossier ucraina è una faccenda che per il prossimo anno interesserà direttamente l’Italia, e probabile che di questo Sullivan voglia parlare: testimonianza è che i primi di questo mese il ministro degli Esteri di Roma, Angelino Alfano, ha deciso di aprire con una visita a Kiev, e al fronte caldo orientale, la presidenza italiana all’Osce. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è l’organismo che si occupa di sicurezza per l’Unione europea, e i suoi funzionari in Ucraina hanno il compito di monitorare che il cessate il fuoco cartaceo proclamato dagli accordi di Minsk venga attuato – per il momento, spesso, quei funzionari segnalano spesso violazioni su entrambi i fronti.

In questi giorni è territorio per le accuse alzate da Kiev, che ha addirittura evocato la possibilità di una riconquista armata delle due repubbliche autoproclamate nel Donbass, attraverso una dichiarazione del segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa ucraina, Oleksandr Turchynov; Mosca ha denunciato all’Osce quella che pare un’aperta volontà di violazione del cessate il fuoco. Ma molte di queste posture sono necessità: la Russia sta per andare al voto e non può mollare la presa retorica sulla vicenda ucraina (su cui il Cremlino s’è speso molto, sia politicamente che proprio economicamente), così come Kiev deve mantenere la linea. Mentre, a quanto pare, la diplomazia – con prudenza – si muove.

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