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L’Europa lavori d’intelligenza sui dazi. Parla Marcello Messori

Reagire, ma in modo composto. E, dietro le quinte, fare della massa critica. Perché “rispondere a una chiusura con un’altra chiusura non fa altro che portare altra chiusura”. Un gioco di parole con cui Marcello Messori, economista, docente alla Luiss e soprattutto europeista convinto, spiega il suo punto di vista sulle tensioni, oramai globali, innescate dall’escalation protezionista di Donald Trump, che ha imposto dazi sulle importazioni negli Stati Uniti, acciaio e alluminio in primis.

L’Europa, alle prese con l’ennesimo cattivo segnale populista arrivato con il voto italiano del 4 marzo, dovrebbe essere così abile da muoversi su un doppio binario, mostrando da una parte un po’ di muscoli, ma senza esagerare. Nel mentre, fare un po’ di cartello con altri Paesi commercialmente strategici per attutire l’urto dei dazi americani e compattare il fronte globale pro-libero scambio. “Premesso che una riduzione degli spazi, delle aperture, in un contesto globalizzato è sempre una cattiva notizia, dobbiamo tener presente una cosa”, spiega Messori in questo breve colloquio con Formiche.net. “Qui c’è un Paese, gli Usa, con una politica di chiusura commerciale. Che cosa dovrebbe fare l’Ue? Rispondere, certo, ma anche fare fronte comune con altri Paesi. Sia per assicurarsi uno sbocco alternativo sia per allargare le fila dei Paesi più aperti”.

Altro argomento affrontato da Messori, l’impasse politico in Italia. Nulla da dire “qualcosa di preoccupante. Dobbiamo assolutamente rimuovere il rischio politico istituzionale che si sta creando”, chiarisce l’economista. “C’è un problema strutturale di fondo che preoccupa, perché anche qui si badi bene: l’incertezza aumenta il rischio politico e istituzionale, è vero. E il fatto che il Paese che ha la crescita più debole in Europa abbia anche il più alto tasso di incertezza politica è un mix che non piace a nessuno”.

Il prezzo da pagare, alla fine, potrebbe essere alto. Oggi Bankitalia ha certificato l’ennesimo aumento del debito pubblico (2.279 miliardi, a gennaio). E molti enti, istituzionali e non e anche le banche, hanno messo in stand by l’emissione di bond. “Finché c’è il Qe della Bce non c’è problema, è una buona rete di protezione. Il problema è quando finisce (Mario Draghi, governatore della Bce proprio ieri si è detto ancora cauto sulla fine del Quantitative easing). Ci saranno delle conseguenze sui mercati, i quali potranno farsi aspettative negative sul Paese. Certo, riducendo il rischio politico, come anzidetto, si smorzerebbe anche questo problema”. Già, ad avercelo, il governo.

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