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Salvini e Di Maio? Hanno vinto grazie al rancore, ma ora governino insieme. Parla Giuseppe De Rita

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“E adesso che faccio con un governo diverso, fatto da persone che non hanno mai sentito parlare del Censis, che non sanno cosa sia il localismo italiano?”. Sono questi i dubbi amletici che affliggono da alcune settimane Giuseppe De Rita, sociologo, saggista, fondatore del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). In una lectio magistralis alla Luiss, il noto studioso ha celebrato i cinquant’anni dello storico istituto che ha messo in piedi nel 1964 dopo esser stato licenziato dall’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno (Svimez). Davanti alla platea di studenti De Rita non ha nascosto le sue preoccupazioni per il passaggio del testimone che aspetta Palazzo Chigi nei prossimi giorni, “una discontinuità profonda, frutto di una società italiana rancorosa”. Intervistato da Formiche.net a margine dell’incontro, De Rita, che grazie al Censis ha avuto una panoramica d’eccezione per osservare da vicino i subbugli del ’68, la lotta brigatista allo Stato del ’78 (che visse sotto scorta), e il crollo del sistema politico italiano nel ’92 sotto i colpi delle toghe, ci spiega perché guarda con particolare preoccupazione al governo che verrà. Ma al tempo stesso prende chiaramente atto del voto del 4 marzo: se Salvini e Di Maio non formassero un governo insieme “sarebbero dei cretini”.

De Rita, perché secondo lei la società italiana è intrisa di rancore?

Negli ultimi due anni il rancore si è visto dappertutto. Non solo nella dimensione elettorale, ma anche in tv, sui giornali, nella gestione degli scandali e para-scandali. Già a dicembre era chiaro che il rancore sarebbe stata la cifra collettiva del Paese. Forse i Cinque Stelle e la Lega hanno saputo gestire, placare e valorizzare questo rancore, ma è indubbio che questo sia la chiave d’interpretazione delle elezioni.

Davvero nelle proposte dei partiti anti-establishment non c’è una parte costruttiva?

Se c’è deve ancora essere evidenziata, con un programma volto non solo a distruggere, ma anche a proporre e costruire. Al momento c’è uno sbilanciamento totale verso la parte distruttiva, i programmi elettorali sono di una mediocrità incredibile. I cittadini non hanno votato sui programmi ma su uno stato d’animo, su una valutazione totale del sistema. Insomma è stato un voto, anzi una ventata d’opinione.

Perché la politica deve ripartire dalla dimensione locale?

Perché tutta la società italiana è costruita sul potere locale. Negli ultimi anni noi abbiamo tentato di annulare la mediazione col territorio, nobilmente quando io mi occupavo di piani nazionali, meno nobilmente quando è stata scelta la strada della verticalizzazione, della rottamazione e della disintermediazione.

Ci spieghi meglio.

Il governante oggi vuole interagire solo con il cittadino, ma non vuole sapere nulla del partito, del sindacato, delle comunità montane e delle province. Il rapporto con la dimensione locale non è più immediato, si è ridotto soltanto alla domanda: chi mi vota? Così i politici sono impegnati in una continua caccia al voto d’opinione e populista, che non valorizza in alcun modo il territorio.

Così si spiega l’adesione quasi unanime del Mezzogiorno ai partiti anti-establishment?

Il Mezzogiorno è sempre e comunque all’opposizione, chi governa viene sempre penalizzato. Il Meridione è storicamente attratto dalla retorica anti-governo, è una protesta continua che ha preso forme diverse nel tempo, dal Risorgimento al primo dopoguerra passando per gli anni ’50. La responsabilità è di chi non ha saputo creare un nuovo modo di fare mediazione col territorio.

Neanche i sindacati ci sono riusciti?

Al Sud il sindacato non è mai davvero esistito, e il terzo settore e le regioni sono più deboli. L’unica eccezione è il sindacato dei braccianti, che hanno fatto la storia del Mezzogiorno. Non è un caso che la maggior parte dei migliori sindaci del dopoguerra venisse da quel mondo.

A breve si apriranno le consultazioni al Quirinale. Lega e Cinque Stelle possono governare insieme?

Devo dire con grande sincerità che sarebbero dei cretini se non lo facessero. La discontinuità del voto del 4 marzo deve essere portata avanti, non può tornare tutto alla normalità il giorno dopo le elezioni. Di Maio e Salvini, i veri vincitori, hanno il dovere di continuare a cavalcare, anche a costo di sbattere la testa.

Perché il movimento di Silvio Berlusconi ha pagato pegno alle elezioni?

Perché una forza politica non vive solo del carisma del capo, che peraltro ha dimostrato più volte di saper sacrificare con facilità i vice-capi, gli ultimi in ordine cronologico sono Brunetta e Romani. A forza di sacrificare tutti è rimasto solo e ha creduto di essere lui l’unico a portare voti, ma oggi Berlusconi non è lo stesso di vent’anni fa.

Quali sono invece le prospettive per la sinistra italiana?

La sinistra italiana non esiste più. Deve essere ricostruita dalle fondamenta un’intera cultura politica. Se qualcuno ha voglia di ricostruire è più facile che scelga il centro, che ha più possibilità di crescere, in qualsiasi sistema bipolare. Porsi a sinistra del Movimento Cinque Stelle mi sembra una scelta poco saggia.

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