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Non ci sono solo poltrone da assegnare. È possibile discutere di Siria in Parlamento?

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Il governo italiano è limitato nell’ordinaria amministrazione ed il Parlamento, insediato da poche settimane, può contare solo sugli uffici di presidenza e sulla cosiddetta commissione speciale, quella che interviene nel periodo di transizione e prima che sia formato il nuovo esecutivo e quindi completati tutti gli organismi di Camera e Senato. Ad oltre un mese dal voto, le istituzioni del Paese sono sostanzialmente bloccate mentre invece il resto del mondo continua a correre. Nelle ultime ore l’opinione pubblica globale è rimasta sgomenta di fronte alle notizie tragiche che arrivano dalla Siria, un Paese martoriato da troppo tempo da una guerra che contiene molti conflitti al suo interno e che vede molti, troppi, partecipanti. Ancora una volta la comunità internazionale si trova a dover fare i conti con l’uso di armi chimiche. Assad ed i suoi alleati a partire da Putin sono accusati di aver oltrepassato – non per la prima volta – la linea rossa. Questo ha determinato uno scontro violentissimo (sul piano verbale) nel Palazzo di Vetro dove Stati Uniti, Francia ed Inghilterra hanno avuto un confronto a dir poco accesso con la Russia.

L’Italia che pure brilla nelle sue capacità diplomatiche, militari e di intelligence appare politicamente assente. Certo, il ministro degli esteri è intervenuto con dichiarazioni appropriate (e giustamente preoccupate) ma è evidente che dopo le elezioni quelle parole non sono incisive come lo sarebbero state prima. Parigi ha assunto un ruolo molto forte nella gestione di questo dossier e Londra ha seguito, anche solo per continuare nello scontro con il Cremlino dopo il caso Skripal. Nelle stesse ore la Merkel ha “coperto” il fronte orientale occupandosi anche dell’Ucraina (anche qui l’interlocutore è nella Piazza Rossa). Trump promette di agire. I raid Usa, che ai tempi di Obama vennero fermati all’ultimo istante da papa Francesco, questa volta potrebbero esserci sul serio e con un sostegno largo dei nostri alleati (Israele, Francia, Uk e forse anche dell’Arabia Saudita). Che farà l’Italia?

Il protagonismo di Roma semplicemente non c’è. Sono tutti impegnati nel fare tweet o campagna elettorale fra Friuli e Molise. Se si apre un qualunque quotidiano internazionale e lo si confronta con un quotidiano italiano, sembra che uno dei due è stato scritto in un altro pianeta. Indovinate quale? Un Paese che resta come paralizzato in attesa di capire chi sarà presidente del consiglio e chi sarà all’opposizione senza prestare attenzione a quello che accade oltre i propri confini è, verrebbe da pensare, un luogo fortunato. Chissà se è davvero così. D’altronde non può che preoccupare il fatto di marcare una assenza strategica. Per restare ai nostri cugini d’oltralpe, il paragone potrebbe essere imbarazzante (basti citare la visita di Mohammad Bin Salman all’Eliseo).

La nostra politica, in larghissima maggioranza, sembra non volersi assumere la responsabilità di una presa di posizione forte, e se possibile condivisa. Qua e là si leggono dichiarazioni “buoniste” oppure note che riflettono la vicinanza alla Russia o ad altri attori coinvolti, per procura, nella guerra in Siria. Un po’ poco. Troppo poco. I presidenti dei due rami del Parlamento, i presidenti dei gruppi parlamentari, i leader politici, i rappresentanti scelti nella commissione speciale, tutti loro dovrebbero comprendere la necessità di dedicare molto più tempo ed attenzione a questo dossier, e più in generale alla politica estera e di sicurezza. Sarebbe un segnale di civiltà minima se il Parlamento affrontasse la crisi siriana coinvolgendo il governo (per ora quello che c’è) dimostrando che l’Italia è in Europa, è in Occidente, è nei fori multilaterali. Roma ha un suo specifico soft power fatto di tanti elementi, a partire dalla presenza della Santa Sede e di organizzazioni come Sant’Egidio, e la sua voce deve essere ascoltata, tanto più se portatrice di moderazione ed equilibrio.

Siamo sull’orlo di un conflitto che va acuendosi e che potrebbe avere effetti devastanti se l’escalation militare finisse per determinare una guerra di dimensioni più large. Le premesse, purtroppo, ci sono tutte. In gioco ci sono i destini di tutti noi ma anche la possibilità di essere in Europa con credibilità e serietà. Insomma, se ci fosse una moratoria della campagna elettorale e se il Parlamento si facesse promotore non di una nuova spartizione di poltrone interne ma di un dibattito che l’opinione pubblica può sentire, non sarebbe un segnale straordinariamente positivo? Non si tratta di essere velleitari rispetto alla possibilità di risolvere un rompicapo come questo conflitto. Si tratta piuttosto di avere orgoglio nazionale ed anche senso di responsabilità. Caratteristiche che, chissà, magari sono presenti in questa nuova legislatura. Lo scopriremo nelle prossime ore.

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