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Albania, lo scandalo che fa tremare il governo (con l’aiutino delle piazze)

albania

Uno scandalo in Albania sta facendo tremare il governo socialista guidato da Edi Rama, con l’opposizione di centrodestra che è scesa in piazza per chiedere le dimissioni del governo, così come accaduto di recente in Romania e Armenia.

Il casus belli riguarda il fratello di un ministro coinvolto in un traffico di stupefacenti con l’Italia, con sullo sfondo i nuovi progressi che Tirana sta compiendo nel processo di avvicinamento all’Ue con un altro via libera questa volta da parte del think tank tedesco Dgap (German Council on Foreign Relations) che sta supportando la candidatura dell’Albania evidenziando come il governo albanese sia l’unico ad avere attuato seriamente nuove riforme.

SCANDALI & PIAZZA

“In Albania non c’è democrazia. Lo Stato di diritto non esiste”. L’accusa è del leader popolare Basha al governo guidato dal socialista Rama, su cui pende la spada di Damocle del caso Xhafaj. Il fratello del ministro dell’interno fu arrestato nel 2002 in Italia e condannato dieci anni dopo ad una pena di sette anni per traffico di droga. L’opposizione albanese è scesa dunque in piazza a Tirana per chiedere le dimissioni del governo accusandolo di “legami con la criminalità organizzata”. Sono stati lanciati fumogeni in direzione del palazzo del governo con le forze dell’ordine che hanno poi disperso la folla, ma senza incidenti.

Agron Xhafaj, fratello del ministro, pochi giorni fa si è recato volontariamente in Italia per scontare la sua pena, ma accanto alla vicenda giudiziaria prende quota quella politica: i popolari infatti accusano il ministro di aver sostenuto il fratello, per questo è stata diffusa anche un’intercettazione audio di una presunta conversazione con un ex trafficante albanese di droga.

Secondo fonti della polizia sarebbe stato fermato in Kosovo Arben Veliu, il testimone che avrebbe ammesso di aver concordato un carico di marijuana con il fratello del ministro dell’Interno Fatmir Xhafaj con destinazione Italia. Secondo la Procura albanese Xhafaj è sotto inchiesta sul caso dell’intercettazione della presunta conversazione con il fratello.

BALCANI E CAUCASO

La piazza albanese giunge due settimane dopo quella armena e due anni dopo quella rumena, come segnale di partecipazione popolare in un fazzoletto di Europa, il costone balcanico e in quello eurocaucasico, dove molti sono gli interessi che si stanno concentrando.

Sono passati pochi giorni da quando in Armenia si sono riversati in strada migliaia di cittadini per chiedere le dimissioni del premier Sargsyan. Lo scorso 25 aprile la polizia armena era stata schierata nel centro di Yerevan dopo che centinaia di persone avevano risposto all’appello del leader di Elk, Nikol Pashinyan. Due giorni prima decine di migliaia di persone si erano date appuntamento a piazza della Repubblica per festeggiare le dimissioni del premier Sargsyan.

Pashinyan lo scorso 8 maggio era stato eletto premier dell’Armenia dal Parlamento in seduta straordinaria, con a favore del leader della Rivoluzione di Velluto 59 deputati, e 42 contrari.

Stesso schema in Romania un anno fa con la crisi di governo stimolata anche dalle impressionanti manifestazioni di piazza nate per protestare contro la legge salva corrotti e dopo che quattro mesi prima migliaia di cittadini erano scesi in piazza proprio per dire no al progetto di amnistia del governo.

DIREZIONE UE

Intanto dopo l’endorsement da parte del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, ecco che Tirana incassa il pollice in su da parte del Dgap, il think tank German Council on Foreign Relations (realtà in cui gravitano i 2500 personaggi politici più importanti della Germania come von Weizsacker e l’ex ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher) che sta supportando la candidatura dell’Albania in Ue con un paper analitico, evidenziando come il governo albanese sia l’unico ad avere attuato seriamente nuove riforme.

E scrive: “Nessun altro stato nei Balcani ha fatto tanto quanto l’Albania per meritare l’apertura dei negoziati ufficiali. Dobbiamo accettare che nessun altro paese nell’area dei Balcani si è impegnato seriamente nel riformare radicalmente il sistema giudiziario. E’ un passo importante che ha gettato le basi per miglioramenti in altri settori chiave, come ad esempio la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata”.

E ancora: “Un ‘no’ da Berlino destabilizzerebbe non solo l’Albania, ma avrebbe ripercussioni negative su tutti i Balcani occidentali. Al contrario, invece, un ‘sì’ sarebbe un segnale chiaro per la Germania e l’Ue, ripagando in questo modo gli sforzi fatti dall’Albania nonostante ci siano ancora molti ostacoli da superare. Quello che manca è una cultura politica che riconosca il compromesso come un elemento fondamentale della democrazia. In passato, tutto ciò ha impedito il normale funzionamento delle istituzioni democratiche”

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