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Il Dragone mostra gli artigli. Adesso Pechino può colpire tutto il Sud Est asiatico

Mentre Xi Jinping imbraccia il vessillo di una Cina alfiere della globalizzazione e della cooperazione win-win con gli Stati vicini, il Dragone mostra i suoi artigli nel Mar Cinese Meridionale. L’Aeronautica del People’s Liberation Army ha annunciato che questo venerdì alcuni bombardieri sono atterrati in un avamposto militare non lontano dalle Spratly Island, un piccolo arcipelago a Sud conteso fra Cina e Vietnam che negli ultimi anni è stato oggetto di dispute anche con gli Stati Uniti per la posizione strategica e i ricchi giacimenti di gas e petrolio scoperti fra quelle scogliere. Secondo gli esperti dell’Asia Maritime Transparency Initiative (ATPI), un sito specializzato del Center for Strategic and International Studies (CSIS) di Washington, gli aerei cinesi sarebbero atterrati nella base militare di Woody Island, situata nell’arcipelago delle Paracels.

L’evento è di grande rilevanza perché è la prima volta che la Cina si spinge tanto a Sud con i bombardieri, peraltro utilizzando anche un H-6K, un bimotore nato in Unione Sovietica e usato dall’Iraq nella prima Guerra del Golfo che è capace di trasportare una bomba atomica. Come spiega la Cnn, far atterrare su Woody Island l’ultima versione dell’H-6K, che ha una gittata di 1900 miglia nautiche (3500 chilometri), significa potenzialmente porre nel mirino l’intero Sud-Est asiatico. La mossa di Pechino, pubblicizzata con enfasi dal People’s Daily, il giornale ufficiale del Partito Comunista Cinese, si aggiunge al crescendo di tensioni nel Mar Cinese Meridionale, una zona che da anni è contesa anche tra Vietnam, Indonesia, Brunei, Taiwan e le Filippine.

E infatti non si sono fatte attendere le reazioni dei Paesi contigui. A cominciare dall’uomo forte della regione, il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Il suo portavoce, riporta Reuters, ha fatto sapere che Manila intraprenderà “un’appropriata azione diplomatica” e esprime “preoccupazione per l’impatto che questo avrà sugli sforzi per mantenere la pace e la stabilità nella regione”. Il portavoce del Pentagono Cristopher Logan ha dichiarato ai microfoni della Cnn che “gli Stati Uniti rimangono impegnati per un Indo-Pacifico libero e aperto”, mettendo in guardia la Cina da un’escalation militare che “serve solo ad aumentare le tensioni e destabilizzare le regioni”.

L’invio di bombardieri con capacità nucleare a Sud è solo l’ultima di una lunga serie di provocazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Negli ultimi mesi c’è stato più di uno stallo messicano fra i cacciatorpedinieri americani impiegati nelle cosiddette operazioni “freedom of navigation” e le navi cinesi. Per il governo di Xi le acque in cui navigano gli americani non sono internazionali e le operazioni delle navi a stelle e strisce costituiscono una violazione della sovranità territoriale cinese. Washington, dal canto suo, chiede da anni a Pechino di cessare la militarizzazione della regione.

“Quest’ultimo episodio non dovrebbe soprendere nessuno” commenta ai microfoni di Formiche.net Brad Glosserman, editorialista del Japan Times e senior advisor del Pacific Forum di Honolulu, un programma indipendente del CSIS di Washington. “Se i cinesi hanno intenzione di divenire una grande potenza devono usare il loro territorio per estendere la loro influenza fin dove è possibile. Installare armamenti su quelle isole è un modo per difendere i loro interessi e mandare un messaggio all’esterno”. Nulla di nuovo, ribadisce l’esperto. “È un trend che va avanti da quindici anni. Rientra nell’agenda in quattro punti per la modernizzazione del Paese. Scienza, tecnologia, agricoltura e infine il settore militare, che Pechino sta ammodernando con nuove portaerei e caccia nel Mar Cinese Meridionale”. I movimenti nella regione rientrano nella grande strategia cinese per espandere la sua influenza all’estero “culminata nella Belt and Road Initiative”, commenta Glosserman. “È il loro territorio, il governo cinese ha il diritto di usufruire delle risorse in quell’area” conclude, “ma le frizioni con Washington continueranno perché fra le due parti non c’è un accordo sulla definizione giuridica di cosa sia permesso fare ai vascelli militari”.

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