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Putin da Xi: i formati diversi dal G7 che piacciono alla Russia (e alla Cina)

Ieri il presidente cinese, Xi Jinping, ha onorato l’omologo russo, Vladimir Putin, con la Medaglia dell’Amicizia della Repubblica popolare della Cina: la prima consegnata da Pechino.

C’è stata una cerimonia protocollare nella Great Hall di Piazza Tiananmen. Diciotto guardie d’onore dell’Esercito popolare hanno preceduto la salita sul palco dei due leader, in platea pezzi grossi del Partito, l’inno nazionale russo da colonna sonora.

La Medaglia dell’Amicizia, spiega la Xinhua (agenzia stampa governativa che pubblica in inglese la linea di Pechino nel mondo) è “il più alto onore dello stato per gli stranieri, viene consegnata agli amici stranieri che hanno dato un contributo eccezionale alla spinta per la modernizzazione della Cina, promuovendo lo scambio e la cooperazione tra la Cina e il mondo e salvaguardando la pace nel mondo” (Putin ha ricambiato regalando a Xi una sauna: il presidente russo s’è presentato con un progetto e una foto di un cedro bicentenario che verrà usato per costruire la sauna dove il cinese preferisce)

“Vecchio amico” e “buon amico”, così Xi ha chiamato Putin, che ha fatto sì che i rapporti bilaterali tra Cina e Russia venissero incrementati, ha detto il presidente cinese, sebbene “messi alla prova dalla mutevole situazione internazionale”. Le relazioni hanno creato reciproco “vantaggio per i due popoli” e sono servite da “modello di coesistenza armoniosa” anche per i principali paesi limitrofi.

Il punto è anche qui: Putin è in Cina non soltanto per ricevere l’onorificenza e per segnare uno step importante nelle relazioni Pechino-Mosca, ma di più, il presidente russo parteciperà a un altro importante incontro, da cui si tracciano le politiche internazionali di Pechino. Oggi i presidenti russo e cinese hanno parlato con l’iraniano Hassan Rouhani, che a sua volta si trova in Cina per alla riunione della Shanghai Cooperation Organization (Sco) che si terrà a Qingdao, sul Mar Giallo: dobbiamo lavorare integrati con un dialogo più concreto sul ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal piano d’azione globale congiunto (Jcpoa), l’accordo sul nucleare di Teheran, ha detto Rouhani.

Quando ieri Donald Trump ha proposto di reintegrare la Russia nel sistema multilaterale del G8 (che comunque per le visioni trumpiane è detestabile, e infatti il presidente americano sembra stia muovendosi per farlo collassare), il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha risposto una sorta di no-grazie. Peskov, che ha un enorme potere perché è intimo di Putin, ha spiegato ai giornalisti che Mosca in questo momento è “focused” su “altri generi di formati”.

Le parole contano e le tempistiche ancora di più: mentre i principali paesi occidentali e l’occidentalizzato Giappone erano riuniti nel vertice internazionale da cui la Russia è stata esclusa tra le misure sanzionatorie per le responsabilità nell’aver scatenato la crisi ucraina, Putin era in Cina, a muoversi su un asse diverso, al fianco della nazione che traguarda il primato economico mondiale entro la prossima dozzina d’anni.

Secondo il quotidiano economico russo Vedomosti, i due paesi dovrebbero firmare un accordo economico ad ampio raggio – non a caso Putin è accompagnato da una delegazione di alti esponenti del mondo economico, commerciale e finanziario russo (per cominciare: la Rosatom dovrebbe siglare una partnership con la Società energetica nazionale cinese per la costruzione di quattro centrali atomiche) .

Una fonte diplomatica di Formiche.net (che è attiva su certi dossier e dunque chiede la sensibilità di restare anonima) dice che questo è il motivo profondo per cui Trump insiste sul non tagliare del tutto i ponti di contatto con la Russia: per evitare “che finisca del tutto nella mani di Pechino” e il contesto globale possa “far avvicinare i due paesi” nonostante differenze e diffidenze reciproche.

L’Sco, dove Cina e Russia cooperano in forma direttiva, è un sistema multilaterale potente, che nell’ultimo anno è stato implementato con l’ingresso di India e Pakistan (il nucleo originale era composto da Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) e al summit di quest’anno vede la presenza di due attori altrettanto importanti: Turchia e Iran.

I turchi stanno vivendo anni di distanze e incomprensioni con l’Occidente: la vicenda dell’acquisto dei sistemi anti-aerei russi S-400 e delle minacce di sanzioni da Washington è emblematica di come il rapporto tra i due membri Nato con gli eserciti più grandi (numericamente) sia in piena crisi. D’altra parte Ankara ha scelto due anni fa di essere inserita in un sistema negoziale sulla Siria alternativo a quello onusiano – sponsorizzato da Nato, Unione europea e Stati Uniti – con uno shift verso Mosca.

L’Iran in questi mesi è il centro di diverse dinamiche geopolitiche concatenate: gli americani l’hanno inserito in cima alla lista dei nemici, e lo hanno fatto anche per soddisfare israeliani e sauditi, divisi da una separazione esistenziale da Teheran, e rinnovati amici di Washington. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo nucleare con la Repubblica islamica, e hanno avviato il reintegro della sanzioni internazionali.

Gli alleati europei americani che hanno firmato il deal sono in affanno perché intendono mantenerlo in piedi (e salvare gli interessi collegati), e contemporaneamente evitare di finire sotto i colpi di Washington. Gli altri due firmatari del sistema multilaterale che ha negoziato con Teheran, convinti nel mantenimento dell’intesa come contrafforte politico e via d’interesse, sono proprio Russia e Cina, che oggi vedranno il presidente iraniano.

C’è poi un’indiscrezione che circola da qualche giorno: a Qingdao nel weekend potrebbe addirittura arrivare Kim Jong-un. Il satrapo nordcoreano martedì 12 giugno vedrà Trump a Singapore (il Prez lascerà il G7 in anticipo proprio per spostarsi in preparazione del super-vertice), ma se la Cina riuscisse a portarlo al summit Sco, sarebbe un colpo diplomatico d’eccezione. Una mossa con cui, anche, re-integrare completamente la Russia nel processo negoziale su Pyongyang e, soprattutto, giocare d’anticipo ancora una volta sugli Stati Uniti.

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