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In tv vince la politica. Cosa hanno guardato i telespettatori nel 2018

Di Francesco Devescovi
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Il “generale” estate sta mandando la politica e i telespettatori in vacanza. Cosa succerà in autunno?
Nei talk è probabile che i protagonisti si alterneranno nei ruoli: le opposizioni, il Pd in particolare, troveranno più spazio perché, come è sempre accaduto, la critica fa sempre più audience del consenso. Mentre alla nuova maggioranza, composta dai due partiti abituati finora a contestare nelle piazze, e al governo spetterà il duro compito di dimostrare la capacità di guidare il Paese e di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale.
L’alternanza incomincerà negli studi televisivi?

Nei primi cinque mesi dell’anno, gli ascolti della televisione, che generalmente tendono ad essere stabili, hanno registrato alcuni significativi cambiamenti. Riportiamo lo share del prime time (la fascia oraria 20:30:22:30) delle prime sette reti generaliste (in parentesi il valore del 2017).

Raiuno: 20,3% (19,5%%);
Raidue: 5,9% (6,6%);
Raitre: 5,7% (6,8%);
Canale5: 16,5% (15,6);
Italia1: 5,3% (5,3%);
Rete4: 3,8% (4,2%);
La7: 5,0% (3,4%).

Raiuno guadagna quasi un punto percentuale, mentre Raidue e Raitre ne perdono circa uno. Canale5 perde circa un punto. La novità è l’aumento di un punto e mezzo di La7. Ormai La7 è diventata stabilmente la sesta rete (avendo superato Rete4) e spesso, nelle ultime settimane, prima della formazione del governo, è arrivata ad essere in diverse occasioni la terza rete, dopo Raiuno e Canale5.
Qual è il motivo del suo successo?

Uno dei motivi, forse il principale, è l’affermazione dei programmi di carattere politico, i quali riempiono il palinsesto; è bene ricordare che questi programmi hanno costi di produzione estremamente bassi per cui garantiscono, visto il successo di audience, ritorni economici ragguardevoli.
Durante il periodo elettorale e fino alle elezioni del 4 marzo gli ascolti dei programmi d’informazione non hanno avuto, in tutte le reti, grandi incrementi di ascolto. Non ci sono stati, per esempio, confronti fra i leader e questo è stata un’anomalia del dibattito politico (nel 2006 il confronto Prodi-Berlusconi su Raiuno ottenne il record di ascolto con 16milioni di ascoltatori e il 52% di share, risultati impensabili oggi anche perché parte del dibattito politico si è trasferita dalla Tv ai social). È stata una campagna elettorale piuttosto tiepida dal punto di vista televisivo, senza suspense, come se i più ritenessero già certo il risultato finale.

La situazione è cambiata dopo le elezioni e durante i circa 90 giorni che sono stati necessari per la formazione del governo Conte. Per esempio, un programma di punta di La7, 8 ½, ha aumentato gli ascolti dopo le elezioni arrivando a una media giornaliera di circa 7%. Sembrerebbe che la vera campagna elettorale si sia svolta dopo le elezioni. Gli studi televisivi, durante questo periodo, si sono trasformati in piazze mediatiche, dove in particolare i due partiti vincitori delle elezioni, M5S e Lega, che hanno avuto più spazio, hanno stigmatizzato i cosiddetti poteri forti, responsabili, secondo il loro parere, della mancata formazione del “governo del cambiamento”. La situazione è stata così amplificata e vissuta emotivamente, sia dai sostenitori che dagli oppositori della nuova maggioranza, che non poteva non attrarre l’attenzione del pubblico. I media non hanno fatto altro che esasperare questa situazione, drammatizzandola (vedi l’allarme dello spread) in modo da renderla ancora più d’attualità. Insomma, è stato un lungo “show” di carattere politico nei quali i leader della maggioranza sono riusciti a motivare al massimo i propri sostenitori, mentre gli esponenti della opposizione hanno come giocato “in difesa”.

Ciò che è successo nei tre mesi per la formazione del governo dovrebbe comunque far ricredere chi pensa che dietro le grandi Tv generaliste, non politicamente schierate come La7, ci siano “occulte manovre” tese a favorire smaccatamente un certo schieramento: i bravi professionisti dell’informazione possono al massimo essere “guidati” dalle logiche dell’audience, dal successo degli ascolti dei loro programmi. Un manager della Tv commerciale sostenne: “La nostra missione è fare la Tv per vendere la pubblicità e non vendere la pubblicità per fare la televisione” (come dovrebbe fare il servizio pubblico). La linea editoriale ha un solo vero “padrone”, gli ascolti.

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