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Le divergenze parallele del governo gialloverde

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Le divergenze parallele di Salvini e Di Maio. Un ossimoro rovesciato rispetto ad una delle intelaiature politologiche della Prima Repubblica. Era stato Aldo Moro a parlare di “convergenze parallele” un ircocervo che non esisteva in natura. Traduceva, nel linguaggio democristiano, la più vecchia posizione di Palmiro Togliatti. Quella che affidava al grande incontro tra le masse popolari – cattoliche e comuniste – il compito di realizzare la via italiana al socialismo.

Rispetto a quei tempi lontani la giustapposizione tra le due prospettive (convergenza vs divergenza) non è la sola differenza. Aldo Moro pensava ad una strategia di lungo periodo, consapevole delle insanabili fragilità della società italiana e della necessità di avere dalla sua condizioni internazionali favorevoli. Garantite da un’attenuazione della “guerra fredda”, allora dominante. Oggi, invece, tutto è più accelerato.

Lo è perché questa maggioranza e quindi questo governo è solo il prodotto di una situazione d’emergenza. Due minoranze costrette ad occupare le stesse stanze, ma con interessi, stili di vita, abitudini non solo diverse, ma addirittura contrapposte. Un catalizzatore che non può che essere provvisorio rispetto alle sfide che l’Italia è chiamata a sostenere. E le prime smagliature già si vedono nella definizione dell’agenda di governo. Il decreto dignità ha già creato una frattura nel mondo produttivo italiano, che ha bisogno di meno vincoli e più sostegni per affrontare la concorrenza internazionale.

Forse Di Maio non ha avuto il tempo di leggere l’ultimo report di Mediobanca sulla debolezza della struttura industriale italiana. Nel tradizionale annuario di R&S per trovare la prima industria italiana, tra i campioni europei, bisogna prendere la lente d’ingrandimento. Al sessantaquattresimo posto con Leonardo. Tutto il resto è appannaggio francese, inglese, tedesco o olandese. Davide Casaleggio può quindi continuare a tratteggiare il suo immaginifico futuro dominato dall’intelligenza artificiale. Ma deve sapere che l’Italia, grazie anche alle politiche del suo movimento, se continuerà così, non sarà della partita.

La dissociazione tra piattaforma ideologica e comportamenti effettivi è, quindi, evidente. Da un lato l’innovazione tecnologica al potere, come si potrebbe dire parafrasando un vecchio slogan del ‘68. Dall’altro l’assistenzialismo della peggiore tradizione italiana. Ed ecco allora il ripensamento sull’Ilva, la messa in discussione della Torino-Lione, il ventilato stop alla Tap. Tutto nel nome di un’ambientalismo irrazionale, come sono tutte le posizioni minoritarie. Capitoli essenziali di quelle divergenze parallele di cui si diceva all’inizio.

Il rischio di un possibile corto circuito è già nelle cose. Di Maio vorrebbe tutto e subito. Già nella prossima legge di bilancio inserire flat tax, riforma della legge Fornero e reddito di cittadinanza. È scritto nel “contratto” continua a ripetere, come se questa fosse una forma di copertura. Dove prenderà i 100 miliardi che servono, non è dato sapere. Un conto è pensare ad un programma di legislatura. Altra cosa è mettere in croce Giovanni Tria, con richieste impossibili da soddisfare. La strada già percorsa con decreto dignità. In cui si preferiva non esplicitare oneri e coperture, denunciando presunte oscure manovre. Ma taroccare i conti è l’unica cosa che non si può fare. Troppi occhi indiscreti, in Italia e in Europa, vigilano sulla partita.

Nella Prima Repubblica le convergenze parallele produssero, alla fine, quell’abbozzo di compromesso storico, che durò solo lo spazio di qualche mese. Poi uno dei protagonisti – Enrico Berlinguer – fu costretto a gettare la spugna. Non è detto che la storia debba ripetersi. Ma nemmeno si può escludere. La durata del governo Conte, con ogni probabilità, deriverà dalla coerenza dei comportamenti collettivi. Giancarlo Giorgetti, dalla sala di regia di Palazzo Chigi, che teme il bombardamento dei mercati, ne è consapevole. È bene dargli retta considerate le prime avvisaglie: con un trend di borsa ancora troppo disallineato rispetto agli altri mercati e gli spread sui titoli di Stato che non danno tregua.

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