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Perché gli Usa hanno convocato un summit globale sulle libertà religiose

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Da oggi il dipartimento di Stato americano ospita a Washington la riunione internazionale “Ministerial to Advance Religious Freedom”. Sotto la guida del segretario di Stato, Mike Pompeo, e di Sam Brownback, l’ambasciatore per la Libertà religiosa internazionale, i ministri degli esteri di 80 Paesi e altri alti funzionari di organizzazioni internazionali, insieme a leader e attivisti religiosi e membri della società civile, si riuniranno per condividere meglio le pratiche e spingere con una visione unitaria la promozione della libertà religiosa.

È la prima volta che Washington ospita un’iniziativa volta a promuovere la libertà religiosa in tutto il mondo: un messaggio globalista che esce da un’amministrazione accusata di seguire soltanto la rotta America First, e che trova base sull’International Religious Freedom Act del 1998.

Per l’Italia sarà presente, tra gli altri – oltre all’ambasciatore Armando Varricchio –, Salvatore Martinez, presidente della Fondazione vaticana Centro internazionale Famiglia di Nazareth, e rappresentante personale della presidenza italiana all’Osce  (in esercizio per quest’anno), incaricato da Roma con delega alla Lotta a razzismo, xenofobia, intolleranza e discriminazione dei cristiani e dei membri di altre religioni.

Ogni giorno sarà dedicato ad argomenti specifici, spiega Martinez: “Nella giornata del 24 luglio ci si occuperà del ruolo delle organizzazioni provenienti dalla società civile a difesa della libertà religiosa. Il 25 luglio si discuterà alla presenza di gruppi sopravvissuti alla persecuzione religiosa e di leader religiosi che si riuniranno per raccontare le loro storie. La giornata conclusiva del 26 luglio si concentrerà sul ruolo dei governi, con i rappresentanti governativi e delle organizzazioni internazionali che parteciperanno alle sessioni plenarie”. Temi centrali? “Identificare le sfide globali alla libertà religiosa; sviluppare risposte innovative alla persecuzione sulla base della religione; condividere nuovi impegni per proteggere la libertà religiosa”.

Martinez terrà incontri anche per conto della Fondazione Vaticana negli Stati Uniti, “che sarà guidata da un innovativo board composto da rappresentanti di diverse fedi”; previsto anche un incontro con monsignor Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Usa, e con alcuni congressisti.

La mossa di Pompeo – anticipata dalla pubblicazione di un report sulle libertà religiose da parte del suo dipartimento – è innovativa e positiva, soprattutto se si considera che il tema dei diritti e delle libertà non è stato sempre centrale nelle mosse di politica estera del Presidente Donald Trump (un esempio recentissimo, la vicenda di Liu Xia, dissidente cinese e vedova del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo: secondo il New York Times è stata la Cancelliere tedesca Angela Merkel ad aver svolto il ruolo di primo piano nell’incalzare la Cina a liberarla, segnando la prima volta negli ultimi decenni in cui gli Stati Uniti non hanno guidato la difesa diplomatica di una prigioniera politica cinese).

La situazione è stata fotografata anche da uno studio del Pew Research Center che mostra come nel 2016 (ultimo anno analizzato) le libertà religiose abbiano avuto una restrizione da parte dei governi che guidano almeno la metà dei paesi; il dato peggiore dal 2013.

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Se in Europa sono i musulmani l’obiettivo principale dei pregiudizi religiosi, altrove tocca agli ebrei o ai cristiani: “I cristiani sono stati molestati in più Paesi di qualsiasi altro gruppo religioso”, scriveva la Pew nel 2015. Su Foreign Policy, Ashlyn Webb Will Inboden, entrambi dell’Università di Austin, citano il libro “Under Caesar’s Sword” dove quindici studiosi hanno esaminato la situazione in 24 Paesi: Kent Hill, il direttore esecutivo del Religious Freedom Institute, si è occupato per esempio del capitolo su Iraq e Siria, Paesi stravolti dalla cavalcata dello Stato islamico e dalla guerra civile, “le cui barbarie hanno provocato una delle più grandi crisi di rifugiati del 21° secolo”, e dove si è “assistito alla completa decimazione delle rispettive popolazioni cristiane”.

Come in Pakistan le severe leggi sulla blasfemia continuano a reclamare la vita di cristiani innocenti (come quella del pastore Shahbaz Bhatti), così nella regione cinese dello Xinjiang, migliaia di musulmani uiguri sono attualmente detenuti in campi di rieducazione, in condizioni difficili e spesso separati dai membri della famiglia. Una questione che copre ampie aree geografiche e ampie realtà socio-politico-religiose, di cui il dipartimento di Stato ha provato a intestarsi la guida con una spinta per riportare l’America sulla vetta del mondo in tema di rispetto dei diritti e valori democratici.

Iniziative di questo genere sono anche il frutto dei contatti del mondo cristiano evangelico con l’amministrazione Trump e con il presidente stesso: promuovere la libertà religiosa è una questione di sicurezza nazionale, che riduce l’instabilità e la probabilità di azioni terroristiche, spiegava per esempio Travis Weber, direttore del Center for Religiuos Liberty sul sito del Family Research Council (istituzione diretta da Tony Perkins che una volta ha spiegato a Politico che gli evangelici sostengono Trump perché l’amministrazione Obama che lo ha preceduto, “e i suoi leftisms” li avevano lasciati indietro).

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