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Cosa dice lo scontro Farage-Johnson della campagna elettorale Uk

Farage accusa un quotidiano vicino ai conservatori di collaborare con il Cremlino. Nei giorni scorsi un laburista aveva accusato il governo Johnson di aver diffuso un bollettino su una talpa cinese per coprire il Partygate. Due casi di pericolosa strumentalizzazione della sicurezza nazionale

L’ex premier britannico Boris Johnson, grande sostenitore della causa ucraina, ha accusato Nigel Farage di diffondere “propaganda del Cremlino” e “sciocchezze storiche” dopo che il leader di Reform UK aveva detto, premettendo di non essere un “apologeta” del presidente russo Vladimir Putin, che “l’Occidente ha fatto il gioco di Putin, dandogli la scusa per fare quello che voleva fare comunque”. Ovvero l’invasione dell’Ucraina.

Una replica a Farage è arrivata, indirettamente, anche dal ministero della Difesa, che ha pubblicato un video per sfatare l’idea che la Nato stia “accerchiando” la Russia, il Paese più grande del mondo, spiegando che “è difficile accerchiare un Paese con 11 fusi orari” e che “soltanto l’11% del confine terrestre della Russia è condiviso con i Paesi della Nato”.

Mancano a dieci giorni alle elezioni. Lo scontro politico si sta facendo sempre più duro a destra. La vittoria del Partito laburista di Keir Starmer non sembra poter essere messa in discussione. Ma Farage tenta di recuperare voti al Partito conservatore di Rishi Sunak. Inevitabilmente, considerato il panorama globale, la politica internazionale è tema di discussione.

Il rischio è che temi simili, legati alla sicurezza nazionale, vengano strumentalizzati. O meglio, weaponizzati, come si può dire prendendo in prestito dall’inglese il verbo weaponise, che significa armare. L’ha fatto Farage, con un lungo video in cui ha accusato il quotidiano The Daily Mail, di ispirazione conservatrice, di collaborare “attivamente con il Cremlino” per proteggere il Partito conservatore citando una fonte nell’ufficio del ministero degli Esteri russo che lo definisce un “alleato”.

È un passo oltre le interferenze elettorali. È la weaponizzazione delle stesse per fini, appunto, elettorali. Era già accaduto nei giorni scorsi, con un caso di spionaggio: quello dell’avvocata Christine Lee che ha fatto causa all’MI5 che due anni fa aveva diffuso un bollettino accusandola di essere una talpa cinese a Westminster, impegnata in “attività di interferenza politica” per conto di una sezione del Partito comunista cinese. All’Investigatory Powers Tribunal è stato sentito Barry Gardiner, deputato laburista il cui ufficio ha ricevuto 500.000 sterline da Lee (e il figlio di quest’ultima, Daniel Wilkes, era nello staff). Secondo il parlamentare l’allarme lanciato dal servizio di controspionaggio era uno stratagemma del governo Johnson per distogliere l’attenzione pubblicata dal Partygate, che l’avrebbe potuto far cadere e per il quale il premier si era scusato il giorno prima della pubblicazione del bollettino.

Due episodi che ricordano un elemento fondamentale delle cosiddette covert action, le operazioni di spionaggio volte a influenzare la politica: la percezione e il racconto di quelle anche soltanto presunte, temute e passate possono pesare quanto quelle reali. Tutto ciò impone, o quantomeno suggerisce, alla politica moderazione per evitare di alimentare le divisioni e fare il gioco degli attori statali ostili. Invece, capita che certe dichiarazioni finiscano per accendere il dibattito e spingere per esempio gli utenti sui social ad accusare i politici che negli anni hanno incontrato Putin per lavoro al fine di difendere chi, come Farage, dice vantandosi, per dimostrare la propria estraneità, di non essere mai stato neppure in Russia.

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