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Parola chiave choke point

Nonostante i progressi del trasporto aereo e del cyberspazio, i traffici marittimi rimangono essenziali per l’economia e per la sicurezza. L’utilizzo dei container ne ha aumentato enormemente efficienza e rapidità e diminuito i costi.
Dalla rilevanza del trasporto marittimo consegue anche quella dei choke point, cioè dei punti di obbligato passaggio. Essi hanno sempre costituito aspetti essenziali della geostrategia. In campo marittimo, sono soprattutto gli stretti. In campo terrestre, i valichi e le vallate. I choke point sono utilizzati anche per la difesa. Sono generalmente molto stretti. Le forze nemiche devono incolonnarsi. Per bloccarli, sono necessarie minori forze. I choke point hanno un’altra caratteristica, geopoliticamente di grande rilievo. Sono costanti nel tempo. Lo sviluppo tecnologico non ne ha modificato l’importanza. Stretti come quelli turchi e baltici, delle Malacche, di Hormuz, di Bab el-Mandeb, di Gibilterra hanno sempre influito sulla geopolitica mondiale. Le grandi potenze tendono perciò a prenderne e mantenerne il controllo, per garantire sia il transito delle proprie forze sia l’interdizione di quelle nemiche.
 
Ai choke point naturali si aggiungono quelli artificiali, in particolare i canali navigabili. I due principali sono quelli di Suez e di Panama. Suez consente di evitare la lunga circumnavigazione del Capo di Buona speranza. Panama, quello dello stretto di Magellano. Esso collega non solo l’Atlantico con il Pacifico, ma anche le coste orientali con quelle occidentali degli Stati Uniti.
Il dominio dei mari e degli oceani presuppone quello dei choke point. La loro essenzialità geostrategica era conosciuta sin dall’antichità. Nei tempi moderni fu teorizzata dagli ammiragli britannico Fisher, americano Mahan e sovietico Gorshkov. Mentre i primi due posero in rilievo l’importanza del controllo dei canali di Suez e di Panama per la Royal navy e per gli Usa, Gorskhov cercò di risolvere il problema del sea denial del “ponte transatlantico”, per interdire l’afflusso dagli Usa in Europa di rinforzi e rifornimenti. Si trattava dell’aggiornamento della strategia della Kriegsmarine tedesca nel primo e nel secondo conflitto mondiale. L’inesistenza di choke point nell’Atlantico e l’adozione, da parte britannica, di nuove strategie e tecniche per la protezione dei convogli l’avevano fatta fallire. Il contrasto alla poderosa Flotta del nord sovietica fu realizzato dalla Nato su un choke point molto esteso – la cosiddetta “linea Giuk”, Greenland-Island-Uk. Su di essa furono concentrate le forze antisommergibili dell’Alleanza.
 
L’esistenza di choke point determina spesso l’intera geopolitica degli Stati. Basti pensare alla Russia. Da Pietro il Grande in poi, essa tende a garantirsi un libero accesso ai mari caldi e agli oceani. È bloccata dagli stretti baltici, dai Dardanelli e dal ghiaccio dell’Artico. Il cambiamento climatico in corso potrebbe modificare grandemente la situazione. Le variazioni delle correnti del Golfo – che oggi limitano l’accesso in periodo invernale al solo porto di Murmansk – potrebbero rendere praticabile la rotta del nord, attraverso lo stretto di Bering. Il sistema Asia-Pacifico sarebbe collegato direttamente con i porti settentrionali dell’Europa settentrionale e le coste orientali degli Usa. Muterebbero grandemente la geopolitica e la geoeconomia globali. Vi transiterebbe gran parte del commercio della Cina, del Giappone e della Corea, ora convogliato attraverso Suez e il Mediterraneo. Diminuirebbe così l’importanza di Suez (vi transitano circa 20mila navi mercantili l’anno), che si era accresciuta negli ultimi trent’anni per la crescita dei “giganti asiatici”. Il Mediterraneo tornerebbe ad essere marginalizzato. Comunque, già da Suez, anche il fatto che da quest’ultimo – che ha un pescaggio di 24 metri – non possono transitare le superpetroliere, obbligate quindi alla circumnavigazione dell’Africa. Diminuirebbe anche la rilevanza del canale di Panama, nonostante i lavori di ampliamento in corso. Oggi, esso consente il transito di navi con un pescaggio di soli 12 metri e, rispetto a Suez, presenta lo svantaggio di dover superare con sei chiuse un dislivello complessivo di 28 metri. La rotta del nord consentirà il transito delle superportaerei e delle maggiori navi anfibie, nonché dei grandi porta-container.
 
La superiorità navale degli Usa e dei loro alleati (India, Giappone, ecc.), non potrà mai essere annullata dalla Cina. Pechino potrà però rendere pericoloso e, al limite, impedire l’avvicinamento alle sue coste dei potenti gruppi portaerei ed anfibi americani. Lo farà con le tecnologie “asimmetriche” che sta già sviluppando: armi antisatelliti, attacchi cibernetici, con missili balistici antinave, ecc. Ma non potrà mai proteggere i traffici marittimi indispensabili alla sua economia. La geografia dei choke point glielo impedisce. Verso occidente gli stretti della Malacca (50mila navi mercantili all’anno), divenuti i più importanti del mondo. Verso est, l’accesso alle vie di comunicazione dell’Oceano Pacifico è sottoposto al controllo della “doppia catena di isole” – dal Giappone all’Australia – su cui sono situate poderose basi aereonavali degli Usa e dei loro alleati. Da continente autarchico, la Cina si è trasformata, negli ultimi trent’anni, in un’isola dipendente dai traffici marittimi. Non potendo proteggerli in caso di conflitto con gli Usa, Pechino è obbligata a cooperare con Washington. Per tale motivo, la cooperazione della Cina con gli Usa è più probabile di un nuovo confronto bipolare nel sistema Asia-Pacifico. Lo è anche per il fatto che, economicamente e finanziariamente, esiste fra gli Usa e la Cina un rapporto simile alla Mutual assured destruction, esistente in campo strategico fra Usa e Urss nella Guerra fredda. Una guerra commerciale distruggerebbe le economie di entrambe. Per questo cercano di collaborare, risolvendo con compromessi il loro contenzioso.
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