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Papa Francesco e tutti i miti da sfatare su migranti e terrorismo

Papa Francesco, Vaticano

Mentre si affievoliscono l’angoscia e la disperazione per quanto accaduto a Nizza, si continua a discutere sull’esecutore e, quindi, sulla matrice di questa terribile strage. E continua una larghissima convergenza dell’establishment “politicamente corretto” (parlamentari, intellettuali, giornalisti, mezzibusti del video, preti lavoratori dell’accoglienza) in una strategia buonista comune. La preoccupazione quasi ossessiva sembra essere quella di trovare argomenti, se non per giustificare, almeno per tenere distinti gli autori delle stragi dall’appartenenza alla religione islamica.

Anche nel caso di Nizza. Il camionista che ha ucciso spietatamente un centinaio di innocenti era una personalità complessa e confusa, era sì di origini islamiche e tunisine, ma le aveva dimenticate: beveva alcol, mangiava suino, era bisessuale, e poi aveva perso l’equilibrio psichico per motivi economici e per l’abbandono da parte della moglie. Solo da poco tempo aveva riscoperto la religione dei padri. Più che a un gesto di islamismo radicale si pensa ad un raptus di follia, possibile in chiunque.

A questa negazione della “guerra di religione” aderisce anche la grande autorità di Papa Francesco, con una distinzione. Da mesi egli sostiene che siamo entrati nella “terza guerra mondiale, combattuta a pezzetti”. Ma insiste che in tutto ciò la religione non c’entra. Le sue dichiarazioni dopo Nizza sono state chiarissime: “Un atto di violenza cieca. Nessun uomo può versare in nome di Dio il sangue di un fratello. Dobbiamo essere accoglienti e ospitali”. Non importa che gran parte dei terroristi siano islamici accolti in Europa, come il diciassettenne afgano che in Germania ha ferito con l’ascia alcune persone.

Ciò che Bergoglio si guarda bene dall’usare è la parola “religione”: se essa, ci dice, è amore e misericordia, come può esserci una guerra di religione? La terza guerra si combatte soprattutto col terrorismo (reale e sul video). Ma chi lo esercita? Il papa ha ragione a sottolineare che non tutti gli islamici sono terroristi, ma non può certo nascondere che coloro che lo esercitano sono tutti islamici. Chi ha versato il sangue del fratello (e il proprio) al Charlie Hebdo e al Bataclan di Parigi, agli areoporti di Bruxelles e Istanbul, al ristorante di Dacca e alla Passeggiata di Nizza? Sono stati cani sciolti, lupi solitari, schegge impazzite, psicopatici da clinica, o hanno qualcosa in comune? Le loro azioni sono pura follia o non rivelano, invece, programmazione, lucidità e intelligenza? Ciò che li unifica sono i proclami dell’Isis, prima o poi accolti e fatti propri. E ancor più la religione islamica. Sono loro stessi che ci danno una risposta, quando, nel momento in cui mettono in atto le stragi, testimoniano la loro fede col grido: “Allah akbar”.

Viviamo dentro la cappa di un asfissiante pensiero unico, gestito dai più potenti padroni dei media. Che hanno imposto i loro dogmi indiscutibili: pluriculturalismo, società multietnica, incontro tra le civiltà, dialogo interreligioso. E che talvolta vedono nel terrorismo la reazione contro le colpe dell’Occidente, colonialismo e globalizzazione. Come attribuiscono, usando categorie marxiste putrefatte, il malessere dei giovani immigrati alla miseria economica (ma allora i terroristi di buona famiglia di Dacca?) o alla mancata integrazione (ma siamo sicuri che gli islamici vogliano integrarsi?).

La domanda: “quale rapporto c’è tra islamismo e terrorismo” è assolutamente vietata. Si tratta di una utopia superficiale, forse redditizia per l’industria culturale, ma alla fine distruttiva. E nessuno potrà mai sapere chi siano quei terroristi che già si trovano in Europa o vi approdano per farci saltare in aria. La sai l’ultima? Viene da Alfano, che ha proposto una “Commissione per la antiradicalizzazione islamica e per l’italianizzazione delle moschee”. Ci sarebbe da ridere, se non si dovesse piangere. Nessuno potrà mai spogliare l’Islam della radicalizzazione, che è tutt’uno con l’anima della religione di Maometto; quanto, poi, a rendere italiane le moschee, siamo nel totale ridicolo. Una bestemmia per un islamico, dato che non sarebbero più moschee. La religione islamica non ha avuto riforme o mutamenti rilevanti. E proprio perciò costituisce il più forte fattore di unificazione di quei popoli “nel Dio che è Grande e nel suo profeta Maometto”.

Se il multiculturalismo è un non-senso, l’interculturalismo, cioè la convivenza pacifica di diverse culture, può essere una valida finalità. Ma quanto difficile! Ce lo mostra Giovanni Sartori nelle sue dieci lezioni sulla nostra società in pericolo: “L’Islam oggi vincente è quello estremista e fondamentalista, l’Islam dell’odio e del rigetto dell’Occidente. Anche la Turchia non dimostra che l’Islam è democratizzabile, ma, semmai, quanto non lo sia” (La corsa verso il nulla, Mondadori).

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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