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Perché l’Europa germanocentrica ci condurrà al disastro

L’attuale fase che sta attraversando l’economia internazionale appare ancora di difficile lettura, soprattutto per le novità di natura politica determinate dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Tuttavia, se da un lato la ripresa economica sembra consolidarsi, il quadro resta ancora troppo fragile, come evidenziato recentemente dal Fondo Monetario Internazionale che ha posto l’attenzione sulla necessità di aggiustamento di squilibri ormai consolidati che, se non risolti, rischiano comunque di ostacolare la crescita.

Tra questi, il FMI ha sottolineato l’eccesso di surplus della bilancia commerciale (oltre il tetto del 6% del PIL previsto dalle regole europee) che ormai da 10 anni caratterizza l’economia tedesca, ponendo seri problemi alla coesione della moneta unica. In questo senso tutti quanti sono chiamati a fare la loro parte, sia gli altri paesi dell’area che devono tornare ad essere maggiormente competitivi, sia la Germania stessa che dovrebbe contestualmente promuovere politiche di sostegno della domanda. Una valutazione, quella del FMI su cui il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha sorvolato ponendo l’attenzione sulle difficoltà delle banche in Europa, ricordando come in diversi casi esse siano state salvate grazie anche all’intervento del Fondo Monetario Internazionale.

La posizione del FMI non può che essere apprezzata perché fa emergere all’interno della discussione la consapevolezza che anche questo fattore di squilibrio, spesso sottaciuto, insieme ad altri che vengono più enfatizzati (ad esempio l’elevato debito pubblico o la scarsa produttività di alcuni Paesi) può rappresentare un rischio per la coesione economica e sociale dell’area euro in futuro. L’auspicio di soluzioni condivise e dell’adozione di un approccio globale che consideri tutti insieme quali sono i pericoli per l’unione monetaria (e non solo quelli che convengono ad alcuni) rappresenta il miglior viatico per rafforzare le economie dei paesi europei. Ciò risulta ancora più vero se si considera come anche lo stesso FMI abbia iniziato ad ammettere, per il momento solo a parole, i propri errori sulla gestione della crisi greca, imponendo un’austerità che ha letteralmente sfibrato il paese e che ancora oggi non ha raggiunto i risultati prefissi, ma che forse ha aiutato soprattutto le banche del nord Europa, tra cui quelle tedesche, che risultavano pesantemente esposte verso l’economia della Grecia.

Su questo aspetto la Germania ha dimostrato un elevato pragmatismo cinico, difendendo le proprie banche, non solo presso il FMI ma anche presso le istituzioni europee, intervenendo con fondi pubblici per sostenere il sistema bancario prima dell’avvento delle regole del bail-in e poi chiedendo proprio recentemente un ammorbidimento della vigilanza sui circa 800 istituti di credito tedeschi less significant, per la maggior parte Banche Popolari e Casse di Risparmio, al fine di mettere queste ultime nelle condizioni di poter svolgere il proprio compito di prossimità all’economia reale.

Puntare su una visione globale constatando che anche gli altri, per così dire, stanno facendo “i compiti a casa” per sanare i propri squilibri è il primo passo per una maggiore coesione e crescita sostenibile di tutta l’area euro. In Italia, malgrado le difficoltà dovute anche alla mancata applicazione di provvedimenti ampiamente adottati in altri paesi (vedi aiuti di Stato), il sistema bancario sta riducendo progressivamente il peso dei crediti deteriorati determinati da una crisi economica senza precedenti, evidenziando un tasso di copertura superiore alla media dei concorrenti europei.

Promuovere gli interessi non solo nazionali ma anche europei (e in questo senso la salvaguardia della biodiversità in ambito bancario sarebbe stata sicuramente apprezzabile e molto più efficace ed utile), non deve quindi essere visto nell’ottica miope di un semplice cambiamento di rapporti di forza all’interno delle istituzioni europee ma come quella fase imprescindibile che occorre attraversare per costruire una vera casa comune in cui diritti e doveri siano uguali per tutti. È questo il modo migliore di affrontare una fase storica in cui protezionismi e spinte centrifughe trovano terreno fertile in risposta ad un processo di globalizzazione senza controllo che nel corso degli anni ha sì prodotto maggiore ricchezza, ma ha anche accresciuto squilibri e disuguaglianze diffondendo un senso crescente di insicurezza e di incertezza.

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