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Tutti gli scenari Brexit dopo la vittoria di Pirro di Theresa May. Parla il prof. Begg (Lse)

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Aveva voluto le elezioni anticipate per avere un mandato più forte per la Brexit. E invece Theresa May, vincitrice sulla carta, è uscita dalle elezioni dell’8 giugno sconfitta, con un partito conservatore che ha perso decine di seggi e il compito di formare un governo che si reggerà su un filo. La premier britannica appena riconfermata ha annunciato che formerà il nuovo esecutivo con l’unico partito disponibile: gli unionisti nordirlandesi del Dup. Se i due partiti si ritrovano sulla Brexit, rimangono molte divergenze che lasciano aperti più scenari sull’uscita del Regno Unito dall’UE. Il professor Iain Begg della London School of Economics ne ha prospettati alcuni intervenendo lunedì ad un incontro “Brexit After the UK General Elections” organizzato a Roma dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) e dal suo vice-presidente Fabrizio Saccomanni. Tra gli altri hanno partecipato anche il direttore generale di Assonime Stefano Micossi, il vice direttore generale della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini e il vice-capo missione del Regno Unito in Italia Ken O’Flaherty.

Sono scomparsi gli araldi della Brexit targati Ukip, hanno sofferto i liberal-democratici, perso seggi gli indipendentisti scozzesi di Nicolas Sturgeon, Theresa May ha vinto le elezioni ma lasciando a casa decine di candidati. I labour di Corbyn sembrerebbero i veri vincitori, ma agli atti hanno perso. Chi ha vinto veramente le elezioni del 9 giugno? Secondo il professor Begg, non c’è dubbio che solo gli unionisti del DUP guidati da Arlene Foster possano gongolare sugli allori. Permettendo alla May di formare un governo godranno di un potere decisionale senza precedenti: “Supporteranno il governo sulle questioni del budget, su tutto il resto valuteranno caso per caso” spiega Begg, prevedendo che fra le richieste del Dup ci sarà “una mitigazione delle misure conservatrici di welfare e più spesa pubblica per l’Irlanda del Nord”. Sulla Brexit non ci sono troppe divergenze fra i due partiti. Gli unionisti “vorranno una Brexit più soft, con un controllo dei confini meno severo”, ma anche l’assoluta opposizione a qualsiasi referendum di unificazione fra le due Irlande: tra le uscite che più avevano terrorizzato il DUP schierandolo tra i partiti pro-Brexit, aveva infatti pesato la dichiarazione di Bruxelles che, qualora l’Irlanda si fosse riunificata, anche il Nord sarebbe entrato nell’Unione Europea. Sulla vittoria di Pirro della May hanno pesato, a detta del prof. Begg, una serie di gravi errori: prima di tutto la fretta inspiegabile per correre alle elezioni anticipate, guidata da un’eccessiva fiducia nei sondaggi che davano i Tories a 20 punti da Corbyn, e poi ancora la latitanza della May durante i dibattiti pubblici e il suo scarso appeal mediatico.

Quel che è certo, come conferma il diplomatico O’Flaherty, è che dalla settimana prossima Downing Street riprenderà i negoziati Brexit, che entreranno nel vivo e rimarranno la priorità assoluta nell’agenda britannica. Cosa deve aspettarsi l’Ue? Per il n. 2 di Banca d’Italia Signorini, che il 26 aprile aveva riferito in un’audizione alla Camera degli effetti economici della Brexit, “lo scenario meno probabile è quello di un accordo con l’Ue in stile Efta o Eea, perché sarebbe l’ipotesi meno consigliabile”. Rimane invece aperta la possibilità che il Regno Unito divenga un paese terzo alla stregua di tutti gli stati non-Ue, sottoponendo la regolamentazione degli scambi commerciali al Wto (World Trade Organization), ma sarebbe “una Brexit molto dura, senza neanche un accordo commerciale”. Parlando ai parlamentari in aprile, Signorini aveva minimizzato l’impatto Brexit sull’Italia, assicurando che “non c’è motivo di aspettarsi grandi ripercussioni dirette e immediate sull’economia e sul sistema bancario” e che “le relazioni finanziarie italiane con il Regno Unito risultano meno strette rispetto a quelle degli altri principali paesi europei, sia per gli investimenti di portafoglio sia per quelli diretti”. Meno ottimista appare Stefano Micossi, che guarda preoccupato al ridimensionamento della City of London, centro finanziario di livello non solo europeo ma globale: “gli obiettivi dei mercati finanziari europei sono tutti a Londra, non stiamo parlando di qualche transazione. Non bisogna scordarsi il costo di smantellare un intero mercato”.

Tre sono gli scenari che Begg prevede per la Brexit sulla scia delle elezioni. In un primo caso, Theresa May rimane in carica e guida i negoziati, insiste sul controllo dell’immigrazione e tira fuori il Regno Unito dalla Corte di Giustizia Europea. Ma in questo caso Begg prevede “un empasse sul divorce bill”, ovvero il conto da pagare all’UE per la Brexit. In un secondo scenario May sacrificherà il tema immigrazione e darà priorità alla permanenza nel mercato unico, anche se non è chiaro se in tal caso il Regno Unito resterebbe anche nell’unione doganale o meno. Il terzo scenario possibile è infine quello di un passo indietro sull’art. 50, che rimetterebbe in gioco la Brexit. A Downing Street come a Bruxelles però questa evenienza è vista come pura fantascienza.

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