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L’Nsa incolpa il Nord per Wannacry, ma Washington non vuole una guerra con Pyongyang

La National Security Agency (NSA), l’agenzia di intelligence americana che si occupa di sistemi elettronici, avrebbe prove sufficienti per collegare l’attacco Wannacry del mese scorso alla Corea del Nord. Wannacry ha colpito oltre 300 mila persone in 150 paesi: si è trattato di un virus di tipo ramsonware, ossia con la capacità di infiltrarsi nei computer una volta aperto un collegamento esca, prenderne il controllo completo e richiedere il pagamento di un riscatto per sbloccare le macchine – il rischio, se non si pagava, l’eliminazione completa dei dati.

LE INFO DEL WAPO

Il collegamento con il servizio di spionaggio nordcoreano, il Reconnaissance General Bureau (RGB), non è stato reso pubblico. Ma il Washington Post ha ottenuto informazioni riservate a proposito di un’analisi interna condotta dall’NSA, che ha “moderata fiducia” nell’attribuzione, tenendo conto di “tattiche, tecniche e obiettivi”. Si pensa che l’RGB abbia agito attraverso il Lazarus Group, un gruppo di hacker che la Corea del Nord potrebbe utilizzare per azioni clandestine (come quella contro la Sony del 2014). L’NSA ha confidenza con l’accaduto anche perché il ramsonware di Wannacry è stato potenziato con uno strumento informatico creato dall’agenzia americana (exploit è il termine tecnico, Ethernal Blue il nome), e sottratto mesi fa dai suoi archivi segreti. Il collegamento di Wannacry con la Corea del Nord era già ritenuto credibile da diversi esperti informatici.

UN NUOVO LIVELLO DI MINACCIA

Pyongyang avrebbe già pianificato attacchi informatici con lo scopo di finanziare le proprie casse: con ogni probabilità era già successo per esempio contro la Banca del Bangladesh nel febbraio del 2016. Quella potrebbe essere stata la prima volta in cui uno stato sovrano ha sottratto soldi attraverso un cyber attack per finanziarsi. Il condizionale è d’obbligo perché l’attribuzione in situazioni del genere è sempre complicata. In quell’occasione comunque, Richard Ledgett, il vice direttore dell’NSA, definì la situazione “una nuova dimensione nel cyberwarfare”. Il bottino di 140mila bitcoin tirato su stavolta con Wannacry è molto inferiore ai milioni rubati al Bangladesh, e forse significa che qualcosa è andato storto – probabilmente nelle operazioni di transizione.

FARE CASSA NELL’ISOLAMENTO

Queste genere di azioni servono al Nord per uscire da un isolamento economico e diplomatico, conseguenza delle sanzioni alzate per il procedere del programma nucleare. E dimostrano che nonostante le incessanti minacce americane, sia con la linea della “pazienza strategica” dell’amministrazione Obama, sia con quella più aggressiva voluta da Donal Trump, Pyongyang non sembra intimidito.

UNA GUERRA CHE FONDAMENTALMENTE NON VOGLIAMO

Giovedì il capo del Pentagono Jim Mattis, ha disegnato uno scenario sinistro parlando in audizione all’Appropriations Committee della Camera, rispondendo alla domanda del deputato repubblicano Tim Ryan che chiedeva apertamente ‘come mai non facciamo la guerra alla Corea del Nord?’. “Vorrei suggerire che potremmo vincere” ha detto Mattis, ma “sarà una guerra più grave, in termini di sofferenza umana, di tutto quello che abbiamo visto dopo il 1953” ha aggiunto, perché “significherebbe coinvolgere sotto i bombardamenti una capitale alleata in cui vivono 25 milioni di persone” (si riferisce a Seul, oggetto certo delle rappresaglie del Nord dovesse scoppiare un conflitto). “È una guerra che fondamentalmente non vogliamo”, ha detto Mattis, per questo Washington sta cercando di lavorare con la Cina – che su Pyongyang ha influenza – e contemporaneamente tiene una dura linea diplomatica.

LA LINEA AMERICANA

Le dichiarazioni di Mattis rendono evidente la dimensione dei movimenti statunitensi, che hanno spostato negli ultimi mesi verso la penisola coreana diverse unità militari: il capo del Pentagono spiega testualmente che, nonostante Trump abbia avvelenato i toni, la linea con il Nord resta sempre la deterrenza, l’isolamento diplomatico, il tentativo di dialogo via Pechino. Mattis comunque, durante un’altra audizione parlamentare (lunedì, al Comitato Forze armate della Camera) ha definito il Nord “la più urgente minaccia [globale] per la sicurezza e la pace” e questo significa che Pyongyang ha scavalcato la Russia negli interessi strategici americani; Mosca era stata definita in cima alla lista delle preoccupazioni dallo stesso Mattis cinque mesi fa.

LA DIPLOMAZIA DI RODMAN

Notizia di folklore: Dennis “The Worm” Rodman ,ex ala forte dei Chicago Bulls auto-designatosi ambasciatore di pace verso la Corea del Nord – era partito con una maglia con scritto “Ambassador Rodman” e “I come for peace” –, è tornato da una sua missione diplomatica a Pyongyang, ma non ha potuto incontrare il suo “friends for life“, come lo chiama lui, Kim Jong-un. Ne aveva fatto già uno di viaggio, disastroso, nel 2014: quella volta quando rientrò andò dritto in rehab, perché beveva. Nei giorni in cui Rodman era in Corea del Nord, il regime ha rilasciato Otto Warmbier, uno studente di college americano arrestato a gennaio dello scorso anno, rientrato negli Stati Uniti in non buone condizioni di salute, con danni celebrali dovuti a 15 mesi passati in coma. Il dipartimento di Stato americano ha definito la sovrapposizione dei due eventi “una bizzarra coincidenza”.

 

 

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