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Salvare la tassa sulle transazioni finanziarie?

È sempre dura dover difendere un’idea della quale non si è convinti fino in fondo. Ma ogni tanto è necessario farlo.

Da dieci anni ho preso posizioni molto caute, per non dire scettiche e perfino negative, sull’adozione di una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF), spesso impropriamente denominata Tobin Tax. Il fatto che ancora oggi si continui ad associare la Tobin Tax alla tassa sulle transazioni finanziarie suona un po’ come un accanimento terapeutico.

Il povero James Tobin, Nobel per l’economia morto nel 2002, in un paio d’interviste rilasciate prima del decesso, aveva cercato di spiegare che la sua tassa aveva ben poco a che fare con la tassa sulle transazioni finanziarie divenuta bandiera dei no-global per “punire” (poveri ingenui…) i cattivi speculatori sul mercato finanziario. La Tobin Tax, concepita negli anni Settanta sulle sole transazioni in valuta estera, non aveva una funzione punitiva o perequativa, ma solo lo scopo di isolare i sistemi nazionali dalle interdipendenze internazionali, permettendo manovre espansive senza rischiare fughe di capitali.

La tassa sull’universo delle transazioni finanziarie effettuate in un paese è un’altra cosa. Se adottata unilateralmente, è chiaramente una tassa iniqua, ed oltretutto facilmente eludibile. I capitali si muovono ovunque alla velocità della luce, e le tecnologie digitali combinate con l’ingegneria finanziaria consentono di spostare i capitali in un mondo parallelo, virtuale, ben poco sensibile ai confini ed alle ripartizioni e i vincoli amministrativi. Stando comodamente seduto su una spiaggia caraibica posso, da uno smartphone con SIM delle Bermuda, acquistare allo scoperto qualche milione di dollari in azioni di una società sudafricana su un conto del Lussemburgo intestato ad una società delle Bahamas; e rivenderlo 20 secondi dopo perché il prezzo è salito anche solo di qualche centesimo. Provate a raccogliere una tassa su questa transazione finanziaria…

Certo, mi direte, mica tutti possono avere società e conti ai caraibi. Appunto… la tassa finisce per andare a colpire solo il correntista che mette i suoi risparmi in qualche titolo azionario, magari su consiglio dei consulenti della banca sotto casa… Altro che punire la cattiva speculazione…

L’imposta avrebbe senso solo se adottata a livello universale, con un’aliquota omogenea in tutti i paesi del mondo. Ma immaginare che paradisi fiscali che hanno fatto la loro fortuna proprio con la detassazione delle rendite finanziarie e il segreto bancario possano abdicare a questi privilegi “sovrani”… è pura illusione! A meno che non siano costretti (convinti) a farlo… Improbabile…

E laddove la tassa è già stata adottata (in Europa sostanzialmente solo in Francia e Italia, peraltro in una forma ben poco efficace) non è stato fatto per fornire risorse a sostegno della crescita, finanziando magari investimenti collettivi europei. Ma solo per ripianare il debito nazionale, inserendo così, semplicemente, ulteriori distorsioni in un mercato finanziario (europeo) già fortemente segmentato e frammentato. Il sistema bancario, che è un mercato oligopolistico su basi nazionali, si può infatti permettere il lusso di scaricare anche i maggiori costi delle transazioni delle sue componenti speculative sui correntisti (aumentando il costo di commissioni, tenuta conto, prodotti finanziari, etc).

Chi ci va di mezzo, insomma, alla fine è sempre il piccolo risparmiatore, il quale non ha mezzi a sufficienza per sfuggire a queste imposte.

Insomma, la TTF è sostanzialmente inutile, se non dannosa; ma può in effetti avere un senso: può essere prelevata a livello europeo e servire a finanziare la produzione di beni pubblici europei. Ed a questo potrebbe essere utilmente indirizzata.

Peccato che proprio nei giorni scorsi l’ipotesi già avanzata di una cooperazione rafforzata nel campo di una tassa sulle transazioni finanziarie europea sia stata di fatto accantonata dai Ministri delle Finanze francese e tedesco. Motivo: la gara che si sta aprendo in Europa per dare ospitalità alle varie istituzioni europee e società finanziarie mondiali che hanno sede a Londra e devono ora verificare se non sia più conveniente migrare sul continente a seguito della Brexit… Senza Francia e Germania non può esistere, nei fatti, alcuna cooperazione rafforzata – dunque la TTF rischia di cadere nel dimenticatoio.

Con buona pace dell’Italia, che magari si lamenterà pubblicamente di questa ennesima deriva antieuropea del motore franco-tedesco, ma sarà ben lieta di non essere costretta a cedere i proventi della TTF all’Unione Europea, continuando ad usare la tassa prelevando un altro po’ di risorse ai già martoriati cittadini italiani per il mantenimento della loro furba classe politica.

Ma, tra queste luci e ombre della TTF, quale può essere una posizione realmente europea di fronte alle nuove tendenze franco-tedesche? Credo che, nonostante tutti i limiti che ho evidenziato nella TTF, dovremmo alzare gli scudi come cittadini europei (e possibilmente come governo italiano, ma lo vedo purtroppo improbabile), per opporci all’ipotesi di un’ennesima concorrenza fiscale in Europa, chiedendo che si proceda, come precedentemente indicato, alla creazione di una cooperazione rafforzata per una tassa europea sulle transazioni finanziarie, il cui gettito vada direttamente a finanziare il bilancio europeo (stime attendibili parlano di circa 50 miliardi di euro annui) in vista della realizzazione di un vasto programma di investimenti pubblici, la cui destinazione sia affidata ad una scelta a maggioranza del Parlamento Europeo, riunito coi soli deputati nazionali dei paesi che aderiranno alla cooperazione rafforzata.

Solo in questo modo un meccanismo sostanzialmente inutile potrà diventare un piccolo ma concreto strumento per far avanzare l’integrazione europea e per colmare, nel suo piccolo, la distanza crescente fra l’Unione Europea e i suoi cittadini.

A meno che Francia e Germania non abbiano in serbo per l’Unione Europea un più ampio, serio e concreto rilancio dell’integrazione, con la creazione di un bilancio comune (e di dimensioni serie) per l’eurozona, l’abbandono del metodo intergovernativo e la creazione di una effettiva democrazia sovranazionale… Allora, ma solo allora, potremmo abbandonare quello strumento inutile, che però piace molto all’immaginario collettivo, e che risponde al nome di tassa sulle transazioni finanziarie.

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