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Ritorno alla Dottrina Monroe?

Il 25 febbraio 2011 il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert Gates, in un discorso all’Accademia militare di West Point, ha dichiarato: “Qualsiasi futuro segretario alla Difesa che consigliasse al presidente di inviare nuovamente truppe di terra americane in Asia, nel Medio Oriente o in Africa, dovrebbe avere esaminata la sua testa”. Pochi giorni dopo, Gates ha cercato di edulcorare questa drastica affermazione, ma l’esitante e altalenante atteggiamento del presidente Obama e del Congresso americano nel conflitto in corso in Libia sembra confermare la recente tentazione al ritorno ad un seppur velato isolazionismo e ai fondamenti della Dottrina Monroe: l’America agli americani e disinteresse per le guerre esterne. Le tentazioni isolazioniste non sono nuove. Gli Stati Uniti si ritirarono rapidamente alla conclusione del Primo e del Secondo conflitto mondiale, dopo due interventi massicci e determinanti, in particolare quello durante il Secondo conflitto negli anni Quaranta.
 
Dopo la Dottrina Truman e il Piano Marshall, intervennero nella Corea del Sud nel 1950 con l’invio di 500mila soldati. Malgrado l’armistizio del 1953 non è stata ancora firmata la pace con la Corea del Nord, e il Paese è tuttora diviso. Nel 1965, gli Stati Uniti entrarono in guerra nel Vietnam e inviarono altri 500mila soldati. Identico massiccio impegno di soldati si è avuto nel 1991 contro l’Iraq, che aveva invaso il Kuwait. Poi, nel 2001 ebbe luogo l’intervento americano in Afghanistan. Dopo dieci anni è tuttora in corso. In quel Paese è ora assegnato un Corpo di spedizione di circa 100mila uomini. Nel 2003 gli Stati Uniti dichiararono guerra all’Iraq, ove inviarono nel momento cruciale 150mila uomini, ora ridotti a 50mila. Basi americane con decine di migliaia di militari sono in Giappone, in Germania, in Corea del Sud e in vari altri Paesi del mondo.
Il bilancio della difesa degli Stati Uniti ha superato annualmente i 600 miliardi di dollari, circa i due terzi delle spese militari del mondo. La situazione economica e finanziaria è attualmente pesante. Come accennato, l’esitante e altalenante atteggiamento americano verso il conflitto in Libia, iniziato alcune settimane dopo il citato discorso di Robert Gates a West Point, sembra dare sostanza alle sue affermazioni. Gli Stati Uniti vorrebbero poter contare soprattutto sull’Europa, onde evitare di impegnarsi ulteriormente con truppe di terra e facendo il possibile per chiudere onorevolmente il conflitto in Afghanistan, lasciando, eventualmente, come in Iraq, un presidio non soltanto simbolico. I loro eventuali interventi dovrebbero affidarsi essenzialmente alle flotte navali, alle portaerei e ai sottomarini nucleari, ai bombardieri intercontinentali, ai droni, aerei senza pilota e alla Cia.
La tentazione “isolazionista” di Robert Gates, non è la prima nella storia americana. L’allora presidente generale Eisenhower, nel 1953 concludendo il conflitto in Corea, affermò che mai più gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in simili guerre. Un anno dopo, di fronte alla richiesta pressante della Francia, per un aiuto in Indocina, lo stesso Eisenhower rifiutò. Il Presidente Richard Nixon, nel tentativo di concludere l’intervento americano in Vietnam, iniziato nel 1968, propose una Dottrina Nixon per l’Asia. Secondo tale dottrina, in caso di future aggressioni gli Stati Uniti avrebbero potuto “fornire assistenza militare ed economica, ma non truppe di terra, che invece avrebbero dovuto essere fornite dal Paese direttamente minacciato”.Non a caso, forse, per l’insistenza degli Stati Uniti la Risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del marzo 2011 prevede la “no-fly zone” e qualsiasi altro necessario intervento in appoggio degli insorti in Libia, ma esclude il dispiegamento di truppe a terra.
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