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1992-2012: scopri le differenze

Il paragone è ardito. Mario Monti e Antonio Di Pietro sembrano due persone appartenenti a pianeti diversi. Eppure, secondo Marco Damilano, giornalista de L’Espresso e autore del libro Eutanasia di un potere (Laterza), qualcosa li accomuna:
“Oggi come vent’anni fa la politica è stata commissariata, nel 1992 dai giudici, nel 2012 dai tecnici. Così se il mito popolare di allora era Antonio Di Pietro, oggi è Mario Monti. Lui che dice no alle Olimpiadi, che manda gli ispettori della finanza a Cortina e a Sanremo, che costringe un sottosegretario a dimettersi in poche ore per delle vacanze pagate (Carlo Malinconico, ndr). Sia l’ex pm che l’attuale premier hanno interpretato il bisogno di voltare pagina che l’opinione pubblica avverte nei confronti della ‘casta’.
Ciò che amareggia di più però – fa notare il giornalista – è che questa esigenza non è stata interpretata dai politici, sono loro che dovrebbero intercettare il sentire dei loro elettori e venirgli incontro, invece non è stato e non è così”.
 
Damilano ricorda “il grado di insofferenza della gente nel 1992, dell’elettorato soprattutto moderato e del nord che già l’anno precedente aveva votato per il referendum sulla preferenza unica, percepito come la grande occasione per cambiare la politica. A ciò non va dimenticato però un altro anniversario che in pochi hanno ricordato. Il 7 febbraio del 1992 veniva firmato il patto di Maastricht che obbligava l’Italia a cambiare mentalità, a non fare più leva sul debito pubblico. Questi due fenomeni, uno interno, uno proveniente dall’Europa hanno provocato quel sommovimento culminato poi nelle inchieste che tutti conosciamo”.
Oggi però, sottolineaa, “è sempre più difficile definire cos’è la corruzione, quell’intreccio tra politica e affari che alcuni pm hanno chiamato giustamente ‘sistema gelatinoso’ e che abbiamo visto nelle immagini della P2, P3, P4. E’un sistema più collegato di prima, più complicato da individuare e da raccontare”.
 
Ripercorrendo quegli anni nel suo libro, Damilano evidenzia due lati oscuri che ancora non sono stati del tutto chiariti: “Il primo è il coinvolgimento del Pci-Pds in quei malaffari perché furono risparmiati dalle inchieste ma la loro immagine di difensori dell’integrità morale di cui avevano fatto bandiera ne uscì molto indebolita. Il secondo punto che non si è mai posto in questi vent’anni è perché l’imprenditore più intrecciato con la politica di quegli anni e con il partito socialista, Silvio Berlusconi, non fu mai coinvolto da quelle inchieste. Il paradosso è che sia lui che un suo stretto collaboratore come Fabrizio Cicchitto hanno più volte definito quei processi “un golpe mediatico e giudiziario” ma i media che più li sostennero furono proprio quelli appartenenti al Cavaliere”.
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