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“Il Pd impari dal Labour inglese”

“Da una parte abbiamo un Pd che vorrebbe proseguire dietro l´ombra di Monti, facendo di lui la piattaforma programmatica e quindi continuando, in una modalità ancora da studiare, questa fase tecnica. Dall´altro c´è una componente che ipotizza un futuro in cui il governo torni ad essere politico”. Sintetizza così Stefano Cappellini, caporedattore centrale del Messaggero, il dibattito che anima dall´interno il Partito democratico, in vista di prossime elezioni.
 
Non troppo lontane data ´la parentesi brevissima´ di cui ha parlato ieri il Premier a Piazza Affari, in riferimento alla durata del suo esecutivo. “Difficile fare pronostici perché ci sono troppe incognite – commenta il giornalista – il Pd è avanti nei sondaggi ma se si votasse con questa legge elettorale è possibile che il margine sia risicato e il Parlamento prosegua con l´esperienza tecnica”.
 
Ma c´è un altro tema che fa discutere a sinistra, la vocazione socialdemocratica europea del Pd, di cui ha scritto anche il segretario generale della fondazione Italianieuropei Andrea Peruzy in un articolo su Formiche. Secondo Cappellini “è complicato che l´Italia possa trascinare altri Paesi in un progetto di trasformazione del socialismo europeo. Il Partito democratico è un´anomalia rispetto agli altri partiti europei, ha tante componenti con le quali dover fare i conti. Dovrebbe accettare che un grande partito le abbia e che possa prevalerne una in un dato periodo storico senza che le altre urlino al tradimento. Lo abbiamo visto con il Labour inglese: a cavallo del nuovo millennio Tony Blair è stato il faro di una nuova sinistra vicina al centro, ora il leader è Ed Miliband che ha posizioni totalmente diverse. Può accadere. Dovrebbe accadere. Anche in Italia, anche nel Pd”.
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