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Perché rivedere la spesa

Per comprendere il significato e l’obiettivo della spending review, questo «oggetto misterioso», rimando a due documenti. Il primo è la relazione da me presentata al Consiglio dei ministri il 30 aprile scorso; il secondo, ancora più importante, è il Documento di economia e finanza 2012, dove è riportato, tra l’altro, il conto economico delle amministrazioni pubbliche con le previsioni per il periodo 2012-2015.
 
Come si evince dal Documento, la proiezione della spesa per il personale nei cinque anni, 2011-2015, passa da 170 a 169 miliardi, quindi resta stabile in termini nominali. Anche la spesa per consumi intermedi è sostanzialmente invariata. All’interno di queste due categorie, la spesa sanitaria aumenta invece di 6 miliardi di euro. Ciò implica che tutte le altre voci di spesa si riducano di importi che sommati danno una cifra analoga.
È uno scenario che non ha precedenti nella storia economico-politico-sociale del nostro paese. Coloro che hanno un minimo di responsabilità, ruoli di direzione, di governo, di controllo all’interno di qualunque segmento di settore pubblico, hanno di fronte compiti di straordinario rilievo.
Associata a queste dinamiche della spesa complessiva va segnalata una categoria che aumenta nel corso di questi cinque anni: è la spesa per le pensioni, la quale, nonostante le riforme, si porta appresso la storia del paese. L’Italia ha una spesa per i servizi pubblici tra le più basse dell’Europa e dell’Ocse ma una spesa per interessi e per pensioni tra le più elevate al mondo.
 
La responsabilità di amministratori e politici è quella di limitare i danni, di evitare che i nostri figli e i nostri nipoti abbiano troppo a soffrire delle dissennatezze del passato. C’è bisogno di una cura dimagrante che gli amministratori dovranno gestire attraverso le tecniche sofisticate della revisione della spesa. Come è noto, la spending review si può realizzare secondo vari stadi. C’è quello più semplice, che il popolo ama, ovvero l’eliminazione degli sprechi. C’è quello più complesso, la parte più apprezzata dal ministro della Pa, Filippo Patroni Griffi, ovvero la riorganizzazione della vita delle amministrazioni pubbliche rendendole più efficienti e meno costose. C’è, infine, lo stadio che reclamano alcune voci critiche nei confronti del governo, vale a dire un’operazione di arretramento strategico – come è stato scritto – della presenza pubblica nell’economia, ad esempio trasferendo parte dei servizi pubblici al settore privato con il finanziamento a carico dei cittadini. Credo che questa terza parte normalmente non venga insegnata e non faccia parte dei corsi di formazione, di preparazione e di acculturamento, anche se molti la considerano, in prospettiva, necessaria.
 
Immagino che gli amministratori dovranno occuparsi dei primi due livelli. Ridurre gli sprechi, quindi, e a questo riguardo ci sono tante iniziative da prendere. Perché continuare a stare in uffici di 30 e 40 metri quadri? Bisogna rassegnarsi a un ufficetto di 15 metri quadri. Riorganizzare la vita delle amministrazioni pubbliche: ed è proprio a questa seconda parte che nel nostro lavoro di revisione della spesa abbiamo dedicato l’attenzione maggiore.
Concludo con un augurio, rivolto a tutti gli uomini e le donne delle amministrazioni: riuscire dove altri non sono riusciti, così da rimettere ordine nel funzionamento della macchina pubblica e consentire al nostro paese di evitare di aumentare ulteriormente le tasse.
 
 
Dino Piero Giarda
Ministro per i Rapporti con il Parlamento
 
 
Tratto dal libro di Luciano Hinna e Mauro Marcantoni Spending review. E’ possibile tagliare la spesa pubblica italiana senza farsi male? (Donzelli editore, pagine 207, euro 17)
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