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Ilva, sequestro senza facoltà d’uso. Ecco le motivazioni

Questa mattina i giudici Antonio Morelli, Benedetto Ruberto ed Alessandra Romano, davanti ai quali gli scorsi 3 e 4 agosto s´è discusso il riesame proposto dall´Ilva contro le due ordinanze (sequestro dell´area a caldo di Ilva ed otto arresti) emesse dal gip di Taranto Patrizia Todisco lo scorso 25 luglio, hanno depositato le motivazioni, contenute in 123 pagine, con cui confermano il sequestro del gip senza facoltà d´uso, lasciando ai custodi giudiziari la scelta di spegnere o meno gli impianti con l´obiettivo di raggiungere più celermente possibile il risanamento ambientale e l´interruzione delle attività inquinanti e tenendo presente i valori costituzionalmente rilevanti in gioco, principalmente la vita e la salute pubblica, e poi anche la tutela dell´impresa produttiva e dell´occupazione.
 
Proprio sul caso Ilva il ministro Clini, intervenendo al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini, ha sottolineato che “difendere l´ambiente vuol dire difenderlo facendo e non bloccando. Difendere bloccando vuol dire bloccare lo sviluppo del Paese e aprire la strada a fenomeni sociali che sarebbero drammatici”.
Secondo Clini il caso Ilva è “l´epifenomeno, la manifestazione ultima di una situazione di conflitto consolidata nel Paese negli ultimi 20 anni per l´incapacità dei governi stretti tra l´industria che non voleva investire e gli estremismi ambientalisti, estremismo che ha impedito soluzioni razionali perché nel conflitto trovava rendite politiche”. Qual è la via di uscita, si è chiesto Clini. “Fare in modo – ha detto il ministro – che l´impresa investa in nuove tecnologie secondo il percorso indicato dall´Europa, da noi e dalla magistratura locale”. Per Clini la tragedia delle morti legate alle attività dell´acciaieria Ilva di Taranto si ferma “investendo nello sviluppo tecnologico e non lasciando il deserto”, ha sottolineato il ministro.
 
I pericoli
Confermata l´attualità dei pericoli rappresentati dallo stabilimento siderurgico tarantino. Scrivono infatti i giudici che “risulta assolutamente evidente, nel caso di specie, come sussista l´urgenza di intervenire con il provvedimento di sequestro atteso che, allo stato, come bene è stato evidenziato dai periti chimici, dai periti medici, dagli accertamenti dell´Arpa, dagli accertamenti del Noe, le emissioni di sostanze nocive alla salute della popolazione sono chiaramente in corso e l´adeguamento degli impianti, ovvero l´eliminazione delle non corrette pratiche di gestione delle polveri degli elettrofiltri e di tutte le disfunzioni sopra segnalate comportanti emissioni incontrollate e diffuse a quote basse non appare più eludibile”.
 
Indagati
Un capitolo delle 123 pagine è dedicato alle esigenze cautelari degli otto indagati. I giudici tarantini chiamati a rivedere l´ordinanza di arresto ai domiciliari per Emilio e Fabio Riva, per il direttore dello stabilimento Capogrosso e per cinque dirigenti delle aree sequestrate, confermano l´arresto dei primi tre ed il pericolo di reiterazione dei reati e di inquinamento delle prove e ribadiscono “la spiccata pervicacia, spregiudicatezza e capacità a delinquere di cui i Riva ed il Capogrosso, quali organi di vertice della società che gestisce lo stabilimento, hanno dato prova, persistendo nelle condotte delittuose nonostante la consapevolezza della gravissima offensività, per la comunità cittadina ed i lavoratori, delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali”.
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