Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Europa, un lavoro a metà

La creazione dell’unione economica e monetaria è un caso unico nella storia degli Stati sovrani. L’eurozona rappresenta una “società di Stati” di tipo completamente nuovo, tale da trascendere il tradizionale concetto di sovranità westfaliana. Come gli individui all’interno di una società, i Paesi membri dell’eurozona sono indipendenti fra loro, e al tempo stesso, interdipendenti. Si influenzano a vicenda, nel bene e nel male. Una buona governance vuole che le istituzioni sia dei singoli individui-Stati che dell’Unione europea si assumano le loro responsabilità.
 
Soprattutto, unione economica e monetaria vuol dire solo questo: due unioni, una monetaria e una economica. Quella monetaria ha funzionato assai bene: fin dal suo lancio nel 1999, la stabilità dei prezzi è stata mantenuta in 17 Paesi e per 332 milioni di cittadin, con un’inflazione annua che è stata in media solo del 2,03% (meglio di quella registrata dalla Germania dal 1995 al 1999). Inoltre, l’eurozona è riuscita a creare 14,5 milioni di nuovi posti di lavoro dal 1999, contro gli 8,5-9 milioni negli Stati Uniti. Ciò non vuol dire che la disoccupazione non sia un grave problema europeo – su questo terreno l’Europa non però è in ritardo: tutte le economie avanzate devono stimolare l’occupazione.
 
Anche sul fronte della finanza pubblica, a livello consolidato, vi è equilibrio in Europa: il suo rapporto debito/Pil è assai più basso di quello giapponese, e il suo deficit di bilancio annuo è ben al di sotto di quello di Usa, Giappone e Gran Bretagna. L’euro, in sé, non spiega il motivo per cui l’eurozona sia diventata il grande malato dell’economia globale. Per capirlo, bisogna piuttosto guardare alla debolezza dell’unione economica.
 
In primo luogo, il Patto di stabilità e crescita, che doveva assicurare politiche fiscali virtuose nell’eurozona, non è mai stato implementato correttamente. Anzi, nel 2003 e 2004 Francia, Italia e Germania hanno cercato di indebolirlo. La Commissione europea, la Banca centrale europea e i Paesi piccoli e medi dell’eurozona hanno impedito il suo smantellamento, ma lo spirito che lo animava è stato gravemente compromesso.
 
Inoltre, la governance dell’eurozona non comportava il monitoraggio di indicatori di competitività come i trend dei prezzi nominali e dei costi e gli squilibri delle bilance commerciali tra Paesi membri (nel 2005, assai prima che scoppiasse la crisi, mi spesi, a nome del consiglio direttivo della Bce, per un’appropriata sorveglianza di alcuni indicatori nazionali tra cui i costi unitari del lavoro). Una terza fonte di debolezza è l’assenza di strumenti di crisis-management al momento del lancio dell’euro. Una prassi diffusa di “laissez faire” prevaleva al tempo, in particolare nelle economie avanzate. E infine, la forte correlazione, all’interno dei singoli Paesi, tra la solidità finanziaria delle principali banche commerciali e quella dei rispettivi governi crea un’altra fonte di vulnerabilità, particolarmente dannosa nell’eurozona.
 
Fortunatamente sono stati compiuti numerosi progressi, migliorando l’impianto del Patto di stabilità e crescita e introducendo meccanismi di controllo sugli indicatori di competitività e sugli squilibri nazionali. Nuovi strumenti di crisis-management sono stati messi in campo. E c’è consenso sul fatto che la stabilità e la prosperità della Ue richieda il completamento del mercato comune e riforme strutturali obbligatorie per tutti i 27 Paesi membri.
 
L’unione bancaria consentirebbe di meglio distinguere il merito di credito delle banche commerciali da quello dei rispettivi governi nazionali. Ma tutto questo non basta. Invece di imporre sanzioni ai Paesi che trasgrediscono le regole e ignorano le raccomandazioni – come era nelle intenzioni del Patto di stabilità – la Commissione europea, il Consiglio europeo e – fondamentale – il Parlamento di Strasburgo dovrebbero decidere in prima persona le misure da implementare, con effetto immediato, nei Paesi interessati. La politica fiscale ed altre misure di politica economica dovrebbero essere subordinate all’attivazione di una “federazione per eccezione” dell’eurozona.
 
L’idea che la condivisione di una moneta unica comporti anche limitazioni alla sovranità fiscale non è nuova. Una “federazione per eccezione” si limiterebbe a tirare le logiche conseguenze del fallimento delle sanzioni del Patto di stabilità e crescita, ed è pienamente coerente con il concetto di sussidiarietà che è stato applicato fin dall’introduzione del Patto stesso: fin quando la politica economica nazionale si muove in accordo con quel quadro, non ci sono sanzioni.
 
Ma forse l’elemento più importante della “federazione per eccezione” sarebbe il forte ancoraggio democratico. La sua attivazione sarebbe soggetta ad un processo decisionale pienamente democratico, con chiara accountability politica. Più precisamente, le decisioni di implementazione delle misure proposte dalla Commissione e già approvate dal Consiglio richiederebbero un voto a maggioranza del Parlamento europeo, cioè dei rappresentati eletti dagli Stati membri. In queste circostanze eccezionali, il parlamento del Paese interessato dovrebbe avere l’opportunità di spiegare al Parlamento europeo perché non può implementare le raccomandazioni proposte, mentre il Parlamento europeo potrebbe spiegare perché la stabilità e la prosperità dell’eurozona sarebbero a rischio. Ma la parola finale spetterebbe a Strasburgo.
 
In passato, ho proposto l’istituzione di ministro delle finanze dell’eurozona, che avrebbe il compito di attivare la federazione economica e fiscale, quando e dove necessaria, e per gestire i nuovi strumenti di crisis management come il Meccanismo di stabilità europea. Sarebbe anche responsabile della supervisione dell’unione bancaria, e rappresenterebbe l’eurozona in tutte le istituzioni finanziarie internazionale e nei gruppi informali. Ma, ciò che è più importante, la “federazione per eccezione” finirebbe per non essere più un’eccezione. Il ministro delle finanze sarebbe un membro del futuro esecutivo della Ue, insieme ad altri ministri responsabili di altre materie federali. Da questo punto di vista, la Commissione prefigura il futuro governo democratico dell’Europa, come è stato sottolineato dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble (che ha proposto l’istituzione di un presidente eletto). Il Consiglio, al tempo stesso, sembra prefigurare la futura camera alta del Parlamento – mentre la camera bassa è già eletta da tutti i cittadini della Ue.
Sono assolutamente consapevole dell’audacia di questa proposta, ma gli europei devono imparare la lezione del recente passato. Dobbiamo essere chiari sulla natura di ciò che vogliamo fare per garantire una governance che sia tanto democratica quanto efficace nelle circostanze date.
 
 
© Project Syndicate, 2012. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia
 
Jean-Claude Trichet, membro del Consiglio direttivo della Banca dei regolamenti internazionali, ex-presidente della Bce (2003-2011) e della Banca di Francia (1993-2003)
×

Iscriviti alla newsletter