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Grecia, quando l’emergenza è prima umanitaria…

Da Atene
Non c’è solo da decidere quando certificare la bancarotta della Grecia, che tecnicamente si è già verificata ormai da tempo. Ma al centro dell’Egeo c’è da risolvere un’altra emergenza, quella umanitaria dell’immigrazione. E non in riferimento al milione di cittadini extracomunitari che ci sono al momento nel paese (anche se cifre ufficiose parlano di più di due milioni) quanto ai profughi che dalla Siria, via Turchia, stanno premendo sulle frontiere elleniche. Per una volta la questione è stata posta (finalmente) all’attenzione dei vertici comunitari: il problema è stato sollevato all´Alto rappresentante dell´Unione europea Catherine Ashton (quella che definì i marò italiani “guardie private”) dai deputati greci Koumoutsakos e Cassoulides. Che, esprimendo la loro preoccupazione per gli sviluppi, chiedono all’istituzione competente in che modo alleviare il dramma: sia per i profughi in fuga da un regime dittatoriale e violento, sia per un paese che oggettivamente non ha la forza per accoglierli e sfamarli. Ma il ragionamento che la Ashton dovrebbe fare, si sussurra nei corridoi del parlamento ateniese, dovrebbe coinvolgere anche quegli stati che non sono nell’Ue ma che, per ovvie motivazioni di solidarietà e di “buon vicinato” internazionale, potrebbero anzi dovrebbero sostenere l’intera area. Il riferimento è alla Turchia, che pare stia svolgendo un ruolo assolutamente passivo. Quando invece potrebbe trasformarsi nel primo ponte umanitario per salvaguardare vite umane che semplicemente vogliono lasciarsi alle spalle anni di odio e morte. In questo senso sarà strategica la sinergia da attuare con le Nazioni Unite, ma dovrebbe essere proprio l’Unione a stimolarla in maniera più pregnante. Di numeri certi, come spesso accade, non ve ne sono: centoquarantamila è la prima stima dei profughi pronti a far ingresso in Grecia, ma nessuno sa fino a quanto considerarli realistici dal momento che complessivamente i cittadini siriani fuggiti sarebbero trecentomila.
 
La questione, legata alla contingenza del post Assad, non può che impattare con l’emergenza immigrazione che in Grecia ormai va avanti da un biennio. Da quando, complice la crisi, i primi a pagare lo scotto di questo tsunami economico sono stati proprio i più deboli, anche per via di connivenze con chi alle frontiere non ha effettuato alcun controllo. Con i conseguenti rigurgiti razziali incarnati dal partito di Alba dorata che alle scorse consultazioni elettorali ha conquistato il 7%, e che un sondaggio politico diffuso ieri dà in ascesa fino all’8,9%, facendo ingresso in parlamento per la prima volta dopo quarant’anni. E sfruttando il disagio di cittadini e gente comune, per una situazione che di fatto danneggia tutti: gli immigrati stessi che vivono in condizioni non umane, spesso in vecchie fabbriche abbandonate alla periferia delle maggiori città (Patrasso, Atene, Salonicco); e i cittadini che hanno dovuto confrontarsi con un elevatissimo numero di reati (furti e omicidi) che hanno accentuato questo immenso disastro sociale, con sfoghi da entrambe le parti, come testimoniano gli scontri con le forze dell’ordine a Patrasso dello scorso maggio e le ronde per le strade ateniesi attuate dai militanti di Chrisì Avghì.
 
Senza contare che un mese fa la polizia greca ha compiuto la maggior retata mai messa in atto contro l’immigrazione clandestina. Con ben seimila stranieri fermati ad Atene in pochi giorni e sospettati di essere entrati illegalmente nel paese. L’operazione, denominata Xenios Zeus, ha visto la partecipazione di cinquemila agenti di polizia. Mentre in governo attualmente in carica nell’ultima campagna elettorale, ammoniva: “Ripulire le strade elleniche”. Basterà un’azione di piazza per sanare anni di politiche deleterie e irresponsabili?
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