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Ecco chi a Piazza Affari bara sugli stipendi aziendali

Terminata la stagione delle assemblee, è possibile esprimere un giudizio sul livello di conformità delle relazioni sulla remunerazione delle società quotate rispetto alla normativa Consob. Si ricorda che la relazione è composta da due sezioni: nella prima si illustra la politica di remunerazione della società e le procedure adottate per la sua adozione e attuazione; la seconda fornisce un’adeguata rappresentazione delle voci che compongono i compensi dei consiglieri di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche. Sulla prima sezione l’assemblea si esprime con un voto non vincolante.
 
Nelle società del Ftse Mib gli azionisti hanno approvato la politica di remunerazione, salvo il caso di Impregilo: basti pensare che, in media, ben l’88% del capitale presente in assemblea ha espresso parere favorevole. Quasi un “plebiscito”. Il temuto innalzamento del livello di trasparenza sui compensi è stato superato senza particolari traumi lasciando immaginare un’adeguata informativa sul modo in cui le aziende quotate italiane retribuiscono le loro risorse apicali. La dimensione della relazione testimonia questa sensazione: in media questa si traduce in un documento di ben 28 pagine (si va dalle 7 pagine di Campari alle 53 pagine del Banco Popolare).
 
L’Osservatorio ha analizzato le relazioni sulla remunerazione di 37 società del Ftse Mib in modo da valutare il livello di compliance rispetto alla normativa Consob. Sono stati identificati alcuni aspetti ritenuti prioritari per l’informativa al mercato: i) l’evidenza sul pay mix (ossia quanto dei compensi complessivi sono costituiti da retribuzione fissa, da bonus di breve e da incentivi di medio/lungo termine); ii) l’indicazione dei parametri di performance a cui sono agganciati i sistemi di incentivazione; iii) la presenza di informazioni sul legame tra la variazione dei risultati e la variazione della remunerazione.
 
Quasi la metà delle società esaminate (17 su 37) non fornisce informazioni sul pay mix delle risorse apicali. 10 aziende su 37 (27%) non comunicano i parametri a cui sono agganciati i bonus di breve termine e questo numero sale a 13 (35%) quando si considerano i sistemi di incentivazione di medio lungo termine. Ma l’aspetto più critico è quello relativo all’indicazione del legame tra performance e bonus: solo 12 aziende su 37 (32%) ne danno evidenza per ciò che concerne i sistemi di breve (il classico MBO); sono molto meno (7 su 37, neanche il 20%) le società che dichiarano come la variazione dei risultati determini la variazione dei bonus di medio lungo termine.
 
Al di là della compliance, l’analisi delle relazioni svela alcune peculiarità: i) una società non si è dotata del Comitato Remunerazione (Buzzi Unicem); ii) ben 15 società su 37 (41%) prevedono la possibilità di erogare bonus una tantum a fronte di prestazioni ritenute straordinarie: tale aspetto sembra confliggere con il principio del Pay For Performance che spesso viene enunciato tra i criteri ispiratori delle politiche di remunerazione; iii) sono ancora troppo poche le società che comunicano il peso dei diversi parametri di performance a cui sono agganciati i premi.
 
I risultati dell’analisi delle relazioni suggeriscono alcune riflessioni:
 
§ L’introduzione della relazione ha sicuramente aumentato il livello di trasparenza sui compensi, ma le imprese quotate di maggiori dimensioni hanno ancora molta strada da fare per garantire un adeguato standard informativo (spesso non correlato al numero di pagine della relazione);
 
§ La maggiore trasparenza non ha abbassato i compensi: la retribuzione monetaria media degli ad del Ftse Mib è scesa del 17% a fronte di un indice che ha perso circa il 30%. Tale aspetto conferma la parziale anelasticità dei compensi alle performance dovuta all’elevata incidenza della remunerazione fissa sul totale dei compensi;
 
§ Il principio del Pay For Performance, ripreso spesso come elemento alla base della policy sulla remunerazione del Vertice aziendale, viene disatteso dalla presenza significativa di bonus una tantum che, verosimilmente, non sono disciplinati ex ante e sfuggono alle logiche dei risultati conseguiti.
 
La prima esperienza delle relazioni sulla remunerazione presenta quindi luci e diverse ombre. L’Osservatorio auspica un intervento formale di Consob che inviti le società quotate a una maggiore compliance alle norme. Ma soprattutto è necessario un cambiamento culturale da parte delle aziende che dovrebbero interpretare la relazione come un efficace strumento di comunicazione con il mercato e gli investitori, non come l’ennesimo appesantimento informativo.
 
Valerio De Molli e Marco Visani
Osservatorio sull’Eccellenza della Corporate Governance di The European House Ambrosetti
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