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A.s. Roma: stadio di proprietà, le ragioni del sì e del no…

Di stadio di proprietà a Roma se ne parla dall´epoca del primo Veltroni (2001), quando ancora puntava a guidare la città di Roma e l´idea del “buon ritiro” in Africa era solo una fantasia appena abbozzata. Poi, a cascata, tutti i primi cittadini, dal Veltroni bis (nel 2006), passando per Rutelli, e adesso per Alemanno, si sono spellati le mani ed esposti con i media (soprattutto in prossimità di tornate elettorali, questo è bene ricordarlo), pur di aiutare, almeno a parole, i presidenti della A.s. Roma e della S.s. Lazio e favorire, dicono loro, i tifosi di entrambe le sponde sportive.
 
A rileggere i giornali dell´epoca (di oltre 11 anni fa e già questo fa riflettere), ma anche quelli attuali, dovremmo aver costruito a Roma almeno una decina di impianti di calcio, tutti polifunzionali, confortevoli, aperti 7 giorni su 7 (perchè giustamente abbiamo in Italia una capacità media di riempimenti del 40%, considerando il giorno della gara, ma basterebbe, a sentire i “soloni” dei media e gli addetti ai lavori per fare soldi a palate).
Nella realtà non è così, gli stadi servono, ma non in tutte le piazze e sicuramente devono essere inseriti in modo armonico nel territorio di riferimento, mentre non possono essere delle colate di cemento, solo per far contento l´affarista di turno, il presidente con manie di grandezze (è una categoria che sta crescendo a dismisura nel nostro Paese), o il costruttore alla ricerca del binomio impianto-mattone residenziale.
 
Veniamo ai nostri giorni e alla piazza di Roma, una delle più grandi. Gianni Alemanno, ma non avevamo dubbi al riguardi, sta emulando perfettamente i suoi predecessori. Promette tempi rapidi, voglia di costruire, ma soprattutto di soddisfare i desideri dei tifosi romanisti (Lotito, numero uno della Lazio, invece, ha tuonato: “se mi fanno costruire uno stadio, ne faccio anche due!” – perchè giustamente bisogna sempre pensare in grande), ma alla fine per costruire questa nuova casa della Roma o della Lazio, serve un terreno, i soldi e un costruttore, oltre chiaramente a un progetto possibilmente eco-sostenibile in linea con le moderne esigenze dei tifosi (non mi pare che nessuno mai li consideri o li chiami a raccolta per conoscere le loro esigenze e già questo è un errore “marchiano”).
Il terreno, probabilmente, è stato individuato, tra tre possibili aree. La più papabile è l´area di proprietà del costruttore romano Parnasi. Romano, romanista, e con voglia di diventare famoso quanto un altro costruttore capitolino come Massimo Mezzaroma, sbarcato anch´egli nel calcio (a Siena), con l´idea di costruire un nuovo stadio, ma, al momento, le difficoltà economiche del gruppo MPS hanno fermato il progetto.
 
Normalmente il costruttore viene pagato da chi lo incarica di realizzare un progetto di real estate (anche se in ambito sportivo). Invece, a Roma, ma soprattutto nel calcio, si pensa che questi costruttori, solo perchè romani e romanisti, debbano “regalare” lo stadio al presidente di turno.
C´è quindi una prima incomprensione: il costruttore, correttamente, vuole essere pagato non solo per il terreno, ma anche per la costruzione dell´immobile sportivo; il club giallorosso, invece, punta a portare dentro Parnasi come azionista, cedendo allo stesso un pacchetto importante di azioni. Peccato, però, che il club della cordata americana, al momento, non generi grandi utili, anzi le perdite sono pesanti, superiori ai 53 milioni di euro.
Quindi entrare adesso non solo non avrebbe un grande senso (diventando azionista bisogna rispondere, per esempio, in ogni momento, alle ricapitalizzazioni di turno, in base alla propria partecipazione azionaria), ma potrebbe diventare per lo stesso costruttore-azionista un “pozzo di San Patrizio” in termini di spese.
 
Insomma, Parnasi è sicuramente interessato, ma nonostante stia studiando la pratica, non vede molte certezze all´orizzonte. Ed essendo un costruttore è per natura persona assai concreta e poco sognatore. Da qualche parte, questa quadratura del cerchio ci sarà (promettono i soci americani ed essendo americani come si può non credere loro), ma al momento non la vedo neppure io. Personalmente, almeno nel mercato italiano, non vedo tutte queste opportunità mirabolanti collegate alla costruzione degli stadi.
 
Se non si capisce che la “casa” del club deve essere pagata direttamente dal presidente di calcio non ci sarà mai evoluzione. Invece, di comprare veri o presunti top player sarebbe il caso che i presidenti iniziassero a spendere soldi propri per costruire questi stadi, perché come si fa a convincere un potenziale investitore (come nel caso del costruttore di turno) se non si è i primi a crederci concretamente. Si rischia di non essere credibili e, quindi, di far naufragare a monte il progetto. Se non si capisce questo aspetto, di stadio a Roma si continuerà a parlarne, ma tra il plastico e il mattone ci sarà di mezzo sempre la burocrazia e, soprattutto, il portafoglio (sempre più vuoto degli imprenditori italiani).
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