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Le confessioni di Geronzi su Nagel, Pellicioli e Palenzona

 Pubblichiamo un estratto dal libro intervista di Cesare Geronzi con Massimo Mucchetti “Confiteor” (Feltrinelli), da domani in libreria, anticipato oggi dal Corriere della Sera.  

Lei, signor Geronzi, si dimise dalla presidenza delle Assicurazioni Generali la mattina di mercoledì 6 aprile 2011. Erano trascorsi solo 337 giorni dalla nomina, meno di 12 mesi. (…) Come e perché perde l’ultima battaglia? Lei, il banchiere che nella primavera del 2011 gode dell’alta considerazione del premier Silvio Berlusconi e dell’ex premier Massimo D’Alema, del segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, e del presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. (…)   “Vede, io non ho perso. E non ho perso perché non ho combattuto. Avrei potuto farlo, ed era quanto temevano i congiurati delle Generali. Glielo si leggeva in volto, quella mattina. Ah, com’erano tesi Alberto Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca, e Lorenzo Pellicioli, l’uomo della De Agostini! Tremava loro la voce. Alle nove e mezza, poco prima che iniziasse il consiglio convocato in seduta straordinaria per il golpe, erano entrati nel mio ufficio per comunicarmi quello che solo pochi minuti prima già mi aveva anticipato l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone: si era formato uno schieramento che voleva il cambio della guardia”. (…)   I congiurati delle Generali raccontano della sua sorpresa di fronte al precipitare degli eventi, di come quasi non credesse alle proprie orecchie, quel mercoledì mattina.   “Romanzano. Come ho detto, avevo da settimane molti segnali, ma è vero che, fino alla penultima ora, non pensavo potessero arrivare a tanto. E tuttavia non fui sorpreso, quel mercoledì mattina. Le tensioni tra il presidente e l’alta dirigenza della compagnia si andavano intensificando da qualche mese: questo era evidente a tutti. La stessa, inusuale, convocazione del consiglio con il suo minaccioso ordine del giorno era stata fatta filtrare ai giornali. Ma l’episodio che mi fece capire che non avrei potuto continuare ebbe luogo soltanto la sera del martedì, la sera del 5 aprile. In vista del consiglio, fissato per l’indomani qui, nella sede di piazza Venezia, il vicepresidente delle Generali, Vincent Bolloré, con il quale avevo stabilito un rapporto di leale collaborazione da un decennio in Mediobanca e poi nella compagnia triestina, era sceso come suo solito all’Eden, un albergo sito in una traversa di via Veneto. A fine pomeriggio Vincent mi chiama: “Cesare, se puoi venire da me verso le 20.30, ceniamo con Caltagirone”. Ci andai, ma Caltagirone non venne. Era in Mediobanca. L’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone rappresentava l’anello che ancora mancava alla catena dei congiurati. Andai a dormire, avendo già preso la mia decisione, consapevole di che cosa sarebbe accaduto il giorno dopo”.(…)   I congiurati. Faccia i nomi. “In quella disgraziata vicenda ci furono un mandato di fatto e due mandanti. Il mandato è Diego Della Valle, ancorché abbia creduto fino all’ultimo di agire autonomamente, anzi di essere il promotore e il risolutore di quella vicenda. Della Valle ha scosso l’albero con malagrazia e non gli hanno nemmeno fatto raccogliere la sua mela. Ha fatto da ariete”. (…) Se Della Valle è il mandato, chi sono i mandanti? “I mandanti principali sono due. Si chiamano Alberto Nagel e Lorenzo Pellicioli”. (…) Sbaglio o dimentica un mandante principale? “E chi sarebbe?”. Sarebbe Fabrizio Palenzona, vicepresidente di UniCredit e consigliere di Mediobanca. (…). “Capace, abile, il dottor Palenzona non è mai un comprimario. E uomo che esercita vaste influenze. Tolga oggi Palenzona da Mediobanca e vedrà che resta poco”.

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