Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Matteo, non basta rottamare. Parla Zingales

Repubblica, nel suo significato etimologico, vuol dire cosa pubblica, un concetto nato in contrapposizione alla monarchia, in cui lo Stato è proprietà del sovrano. Lo Stato sono io, usava ripetere il Re Sole. È proprio per appropriarsi dello Stato che gli antichi romani cacciarono Tarquinio il superbo, che i coloni americani si ribellarono contro una monarchia inglese inefficiente e corrotta e i francesi presero d’assalto la Bastiglia e ghigliottinarono Luigi XVI. In una democrazia le decisioni appartengono al popolo, che è sovrano. In una democrazia lo Stato siamo noi.
 
In Italia, però, nonostante quasi settant’anni di democrazia, è difficile trovare dei cittadini che si identifichino con lo Stato. “Stato ladro” non è solo lo slogan di Oscar Giannino, è il sentimento prevalente nell’animo della maggior parte degli italiani. D’altra parte è difficile sentire come nostro uno Stato che si appropria di metà di tutto quello che viene prodotto e in cambio ci dà poco o nulla. Uno Stato che non paga i suoi debiti, ma pretende da noi pagamento immediato dei nostri, pena il pignoramento. Uno Stato incapace di mettere in galera i criminali, ma pronto a tenere per anni in carcere gli innocenti in attesa di giudizio. Questo Stato non siamo noi.
 
Ci sentiamo “estromessi da politici corrotti e da una élite che non ci rappresenta e che tradisce i nostri interessi, ignora le nostre opinioni e ci tratta con disprezzo”. La citazione è di Margaret Canovan, politologa inglese, e si riferisce al movimento populista americano della seconda metà del XIX secolo. Ma si applica perfettamente a noi oggi. Il partito del popolo, che nacque da questo movimento, non vinse mai un’elezione, ma le sue idee permearono la politica americana a cavallo tra il XIX e il XX secolo e contribuirono a quella che è comunemente chiamata “l’era progressista”. Sotto un presidente repubblicano, Theodore Roosevelt, la democrazia americana fu in grado di correggere quel gap di consenso che la minava, attraverso una serie di riforme economiche e istituzionali che vanno dalla lotta ai monopoli economici all’elezione diretta dei senatori (che prima erano nominati dai governatori dei singoli Stati).
 
L’Italia ha bisogno di una simile trasformazione. Per riappropriarsi del nostro Stato non basta “rottamare” l’attuale classe politica. Morto un papa se ne fa un altro, tanto infallibile quanto il precedente. Se non si cambiano le regole, rottamata una classe politica, ne emerge un’altra, tanto corrotta quanto la precedente (se non di più). Lo abbiamo visto nel 1992. Per riappropriarci dello Stato dobbiamo cambiare le regole, ma quali?
 
Primo, privatizzazioni. Le privatizzazioni non sono solo un’esigenza di bilancio o una scelta ideologica. Sono una necessità etica. Se non eliminiamo il potere economico che oggi il potere politico conferisce non potremo mai moralizzare la vita pubblica. Oggi la politica non è una vocazione, non è neanche una professione, è un business (e un business corrotto). L’unico modo di estirpare il sottobosco politico è quello di fare terra bruciata, eliminando ogni interesse economico. Le privatizzazioni sono il primo passo in questa direzione.
 
Secondo, rompere il money trust. Le banche continuano ad essere controllate dai politici. Non quelli della Seconda repubblica, ma quelli della Prima, arroccati nelle fondazioni e autoproclamatisi “società civile”. È una élite autoreferenziale, che influenza le decisioni delle principali banche e tramite esse la maggior parte delle nostre principali società. È un money trust che impedisce la concorrenza, genera inefficienza, e trasforma il nostro Paese in una peggiocrazia, non solo in politica, ma anche in economia. Se il nostro Paese ha le migliori segretarie e i peggiori manager è perché i meccanismi di selezione non sono meritocratici, ma clientelari. Per spezzare il money trust basta imporre alle fondazioni la diversificazione del loro portafoglio, pena la perdita dei diritti di voto. E imporre il limite di un mandato per i presidenti e di due per i consiglieri delle fondazioni per favorire il ricambio.
 
Terzo, concorrenza. Non a caso il nepotismo è nato a Roma. Per secoli la religione cattolica ha goduto di un monopolio imposto con la forza. Questo potere di mercato ha permesso alla Chiesa di nominare amici e parenti incompetenti in posizioni di potere senza mettere a repentaglio la sopravvivenza della Chiesa. In America, invece, le chiese protestanti competono aggressivamente, e nessuna può permettersi di nominare amici incompetenti, pena la sparizione della Chiesa stessa. Il monopolio crea la corruzione, la concorrenza la elimina.
 
Quarto, legalità. Per funzionare la concorrenza ha bisogno di regole. Poche, comprensibili, e soprattutto fatte rispettare. Il contrario dell’Italia di oggi, dove ci sono troppe regole, confuse, e non rispettate. La giustizia, sia penale sia civile, deve essere efficiente. In Italia per farsi pagare un assegno emesso a vuoto ci vogliono in media 645 giorni, nel resto d’Europa 227. Il delitto in Italia paga. Se non rendiamo la giustizia più rapida e competente, a prevalere saranno sempre i disonesti. Lo stesso vale per l’evasione. L’evasione fiscale non è solo un problema economico, è anche un problema di giustizia sociale. Ma la lotta all’evasione si deve tradurre in meno tasse per tutti, non in maggiori spese.
 
Questi sono i quattro cardini della rivoluzione liberal-popolare che noi di “Fermare il declino” proponiamo. Data la disaffezione politica presente oggi in Italia, questa rivoluzione democratica rischia di essere l’unico ostacolo tra noi e i forconi. Se non ci riprendiamo lo Stato in maniera democratica, rischiamo una rivoluzione cruenta.
 
(Dal numero di Formiche di novembre 2012)
×

Iscriviti alla newsletter