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Sergio non mi convince. Parla Ruggeri (ex Fiat)

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’autore e del direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, l’articolo di Riccardo Ruggeri.
 
Sergio Marchionne ha aggiornato il piano strategico Fiat Auto dandogli un taglio emotivo, scrive: “Non è per cuori deboli, ma ha un futuro potenzialmente eccitante”. Mario Monti risponde: “Decisione stoica, la ringrazio”. Confesso il mio imbarazzo, questo piano si presta a una doppia lettura:
 
a) gli avversari di Marchionne lo giudicheranno un epigono di Fabbrica Italia, salvo la nicchia Maserati, una serie di obiettivi di dubbia realizzazione, enunciati solo per guadagnare tempo;
b) i suoi estimatori un serio aggiornamento di Fabbrica Italia ai tempi della crisi.
 
Per un investitore è difficile comprendere due delle ratio di questo piano, uno “nessuna chiusura di stabilimenti in Italia ma riduzione della capacità produttiva”, l´altro “per la terza volta rivoltiamo la Fiat, puntiamo su Alfa e Maserati e daremo fastidio ai tedeschi”.
 
L´intervista concessa da Marchionne a Raffaella Polato del Corriere è specularmente opposta a quella data a Massimo Mucchetti otto mesi fa, oggi stiamo parlando di un´altra azienda che sfida Audi, Mercedes, Bmw nei segmenti premium.
 
Ne sono affascinato ma non ritengo serio fare analisi di business senza conoscere tempi, quattrini, talenti tecnici, per cui mi taccio. Lascio il salone da ballo e torno in cucina.
 
Capisco Marchionne: lui ha un obiettivo vitale, fondere Fiat Auto con Chrysler, fare l´Ipo a Wall Street. Ora però, sulla sua strada, ha scoperto un macigno. Con una Fiat Auto debole in termini di prodotto-mercato, dev´essere cauto nel fare mosse che potrebbero influenzarne il percorso, sempre più accidentato, per raggiungere il 100 per cento di Chrysler, stante alcune clausole del contratto americano (lo sottolinea anche un report Morgan Stanley). Poi, 90 giorni fa, è comparsa la minaccia più grande che possa presentarsi a un ceo: la cassa. Al ritmo di 15 milioni/giorno, nel trimestre ha bruciato 1,3 miliardi. Questo numero, drammatico, è di certo condizionato da una “tempesta perfetta” che si è verificata nel trimestre, forse non ripetibile: stagionalità, caduta del fatturato, margini insufficienti per coprire i costi di struttura, riduzione delle forniture esterne, e altro ancora. Questo dato avrà influito sulla stesura del piano?
 
Perché Marchionne non ha riconfermato il ruolo storico di Fiat Auto (mercato di massa, non premium) e quindi proceduto alla chiusura degli impianti superflui, come anticipato nella celebre intervista a Mucchetti? Perché invece ha disegnato un nuovo piano “emotivo” con prodotti di gamma alta ad alto valore aggiunto, destinati all´export (in primis gli Stati Uniti), impegnandosi a investire, pur in presenza di una cassa ballerina? Eppure, da questi modelli, salvo Maserati, è assente da tempo immemorabile e forse privo dei talenti tecnici indispensabili.
 
L´unica spiegazione del nuovo piano potrebbe essere di comunicazione. In Italia, Marchionne, con queste sue ultime dichiarazioni, placa la tensione sociale, e lo dimostra l´immediata spaccatura dei sindacati fra quelli “bianco-rosa” che lo sposano, considerandolo salvifico, e quelli “rossi” che lo degradano a oroscopo. Negli Stati Uniti tranquillizza gli operai-azionisti Uaw che temono una Fiat Auto con un margine operativo lordo inaccettabile, per loro il parametro chiave per il calcolo del prezzo delle loro azioni-pensioni da incassare alla fusione. Questo piano è oggettivamente realizzabile? Vedremo. Nel frattempo, anche gli altri costruttori d´auto europei in crisi, Peugeot, GM, Ford, hanno calato le loro carte: piani convenzionali “lacrime-sangue”. Comprensibili quindi le perplessità degli analisti e del mercato. Emotivamente, mi concentro sui comportamenti organizzativi dei vari attori.
 
Confesso la mia simpatia umana verso Marchionne, ho vissuto situazioni simili, comprendo la sua solitudine decisionale, il suo diritto a essere giudicato sui risultati. La sua credibilità resta alta ma la drammatica situazione prodotto-mercato in Europa, i primi scricchiolii in Brasile (con l´arrivo in forze del vertice Vw, e dichiarazione di sganciare un´atomica da 3,5 miliardi di euro di investimenti per puntare alla leadership sudamericana) lo stresseranno molto. Il pericolo è che questo piano così innovativo lo costringa a trasformarsi, giornalmente, in una specie di Houdini, del quale mai si capì dove finiva la realtà e cominciava l´illusione. Mi ha incuriosito il ruolo assunto da Giorgio Airaudo della Fiom che, per il solo fatto di vivere nelle sue officine, e quindi avere intuizioni che poi si verificano, sta diventando il riferimento di quegli analisti e cittadini perplessi sui continui cambi di scenario di Fiat Auto.
 
Ferma la Germania, ferocemente contraria a che l´Europa metta quattrini pubblici per ridimensionare capacità produttive eccedenti. Tali eccedenze sono frutto di responsabilità manageriali singole, ciascuna azienda si faccia carico dei suoi errori. La furbata: pontificare liberismo in patria e spostare a livello europeo le “tutele” (parola elegante per esprimere un concetto losco: aiuti di stato) non è ammessa. Il fatto che Barack Obama l´abbia fatto, mettendo quattrini pubblici in Chrysler e in Gm, e se ne vanti, è una tipica sconcezza liberal. Altrettanto sconcio, almeno secondo le regole europee, che lo faccia il socialista François Hollande. Finanziamenti statali a Peugeot per 7 miliardi, altrettanti da un pool di banche francesi, la chiamo “nazionalizzazione a mezzo struscio”.
 
Esemplare Volkwagen per il modo di fare management nel business dell´auto: investire sul prodotto, investire sui talenti, mai saltare un “ciclo di rinnovo”. Scelta la cultura della globalizzazione, nei propri comportamenti organizzativi si deve essere coerenti fino in fondo: la crisi, e specularmente la crescita, fanno parte della fisiologia del business globale, mai la crisi deve diventare pretesto per giustificare proprie carenze e errori, mai lo sviluppo deve dare medaglie per enfatizzare finti meriti. Nell´auto, i conti si fanno alla fine dei cicli, infatti l´utile (netto) nei primi nove mesi di Vw è incredibile, 20 miliardi, mentre i concorrenti blaterano di una crisi mai vista.
 
Sono certo che il Governo Monti, dopo i relax dell´ultimo anno, preso atto dei “disguidi comunicativi” di Fabbrica Italia, questa volta avrà di certo in un cassetto segreto un piano B per affrontare nel 2013 eventuali problemi sull´occupazione, al cessare per raggiunti limiti d´età, di tutte le forme di cassa integrazione Fiat. In quest´atmosfera emotiva, chiudo con l´operaio Agostino, di nome fa Antonio, mio coetaneo: nella mistica operaia Fiat ante ´68, ci si chiamava solo per cognome, ci si dava del lei, il capo squadra era sempre monsù, prima dei diritti e della lotta contro la “Feroce” veniva il rispetto. Agostino, nel gennaio 2011, da anni in pensione, andò davanti ai cancelli di Mirafiori mentre infuriava la lotta fratricida fra gli operai. Scoppiò a piangere, dicendo: “Adesso fermatevi, vi prego”: in pratica invitò gli operai a votare sì al referendum (come voleva Fiat), pur sapendo che era tutto finto.
 
Riccardo Ruggeri
editore@grantorinolibri.it
 
 
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