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Massimo Franco e la crisi della Chiesa terrena

Il libro appena uscito di Massimo Franco, titolato “La crisi dell’impero vaticano” (Mondadori 2013), è uno strumento davvero utile per avere sotto mano un riassunto delle vicende di cronaca della Chiesa negli anni che vanno dalla morte di Giovanni Paolo II alla rinuncia di Benedetto XVI. Gli anni nostri, insomma, ossia quelli che concludono al presente, al Conclave che si apre, rimandando ormai ai tempi prossimi venturi.

Una prima qualità del lavoro emerge subito, anche cioè da una prima lettura. Si è davanti ad una ricostruzione giornalistica precisa, che espone fatti documentati ed è in grado di rendere comprensibile l’insieme di vicende complesse e note alle cronache, le quali, altrimenti, resterebbero dimenticate anche dagli stessi protagonisti.
La ricostruzione si articola sostanzialmente su tre livelli. Quello relativo direttamente a Benedetto XVI, conclusosi poi con il suo drammatico abbandono. Quello relativo allo IOR, conclusosi con l’esautorazione di Ettore Gotti Tedeschi. Quello più strettamente politico, legato al fallimento di una reale unificazione politica dei cattolici.

Si tratta, a ben vedere, di tre orizzonti uniti tra loro non solo cronologicamente. I punti salienti sono ricondotti da Franco, a mio avviso giustamente, a una serie d’intenzioni e di volontà contrastanti che hanno trovato la loro massima espressione ai vertici del Vaticano.
Senza poter entrare nelle singole vicende narrate, è facile verificare costantemente la continua rivelazione di tante opposte e contraddittorie finalità. Nello IOR c’è stata, da un lato, l’intenzione di Benedetto XVI e la volontà inflessibile di Gotti Tedeschi di rendere “normale” l’istituto, ma, dall’altra, vi sono state resistenze radicali al modo, ai tempi e all’esecuzione stessa di questa specifica politica di trasparenza. Inoltre, la Chiesa ha condiviso, da un lato, con Benedetto XVI l’esigenza di una nuova fermezza e integralità nella dottrina e nel comportamento, ma, dall’altro, ha visto emergere le tantissime contrarietà pratiche nel rendere possibile una vera riforma della curia. La stessa cosa si potrebbe dire pure per il più prosaico, anche se non meno rilevante, aspetto politico, quello che ha visto, ancora una volta, il conflitto tra l’esigenza e la necessità di incidere con una cultura del bene comune nella democrazia italiana, ma che, per contro, ha dovuto costatare la vanificazione di questo programma per il riemergere di potentati personali, di egemonie di vario genere, e così via.

Cosa poter dire in conclusione?
Il presupposto ultimo dell’analisi di Franco è espresso nel secondo capitolo, quando è presentata la differenza culturale tra il mondo protestante e quello cattolico. In Europa la discriminante costituirebbe la differenza tra i Paesi virtuosi, quelli appunto protestanti, e i viziosi, appunto quelli cattolici. Quindi, in fondo, la presente situazione vaticana esprimerebbe così una conseguenza specifica dell’attitudine non riformatrice e refrattaria al cambiamento, tipica della cattolicità.
Sebbene sembri convincente la diagnosi, in realtà è vero esattamente il contrario. La forza del mondo cattolico è la sua visione etica, sociale e umanistica della realtà e del mercato, opposta all’efficientismo del profitto provvidenziale protestante che ha prodotto la crisi morale del nostro tempo con il culto finanziario dei derivati e lo smarrimento della misura umana del capitalismo. Il problema non è, dunque, che noi siamo in crisi perché non siamo protestanti, ma che il mondo è in crisi perché distante dal cattolicesimo.

Benedetto XVI ci ha lasciato una grande dottrina. Adesso il futuro è in mano alla capacità di rinnovamento che solo i cattolici possono realmente incarnare. In prima istanza perché, con buona pace dei nuovi epigoni di Weber e Sombart, la fede coerentemente vissuta in modo laico è l’unica alternativa culturale concreta al pragmatismo imperante in economia e in politica, apportando una risorsa esterna e nuova al potere distruttivo in grado di arginare l’individualismo attraverso il comportamento materiale e spirituale dei credenti. Ovviamente, sempre che la Chiesa sia guidata dalla santità e non dal potere. Altrimenti, la battaglia è perduta in anticipo.

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