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Maccanico, grande moderatore fra diversi

Cresciuto alla scuola di Guido Dorso, al tempo del grande compromesso tra monarchia e partiti antifascisti (1944), s’accostò al Pci di Palmiro Togliatti. Così respingendo l’operaismo torinese di Amadeo Bordiga e sposando le battaglie politiche dei contadini meridionali per un riscatto dall’accusa di brigantaggio mossa loro dai sabaudi e nella convinzione che nella collaborazione tra intellettuali e braccianti potesse avviarsi un secondo e compiuto Risorgimento.

Tonino Maccanico partecipò in tal modo, da meridionale non piagnone e, invece, propositivo, a un generale moto patriottico che, nella divisione in due dell’Italia nel secondo dopoguerra, diede corpo a un riformismo creativo che abbracciava diverse componenti sociali, e soprattutto, laici e cattolici, gettandosi alle spalle lo scontro storico tra ghibellini e guelfi che era stato all’origine dell’incompiutezza risorgimentale.

Laico ma mai laicista, Maccanico comprese ed apprezzò l’autonomia politica dei democristiani e dei degasperiani; e cercò di spiegare ai suoi compagni intellettuali comunisti che la democrazia non si esauriva nell’antifascismo, e neppure nel semplice antimonarchismo, ma dovesse potersi realizzare, per risultare davvero innovativa rispetto al liberalismo prefascista, nell’unità tra diversi: appunto fra laici e cattolici, nonché fra ceti sociali non antagonistici ma collaborativi.

Entrato alla Camera come funzionario-dirigente nella I Legislatura Repubblicana, contribuì ad educare i deputati del suo partito a rispettare le Istituzioni, non limitandosi ad occuparle. Allorché assunse la guida dell’ufficio legislativo di Montecitorio, divenne una sorta di super Consigliere per tutti i settori parlamentari, gradatamente meritandosi la fama di civile servant, che l’avrebbe accompagnato per l’intera vita.

L’invasione sovietica dell’Ungheria lo trovò sensibile alle ragioni dell’indipendentismo magiaro. Assieme agli intellettuali de “Il Contemporaneo”, come Fabrizio Onofri, Antonio Giolitti, Antonio Ghirelli, Tonino Maccanico abbandonò il Pci. Avvilito dalla delusione di avere creduto in una Unione Sovietica che si presentava collegatrice di tutti i lavoratori della terra e divenuta, invece, soffocatrice delle libertà proprio dei più umili e dei più indifesi, Maccanico mantenne le sue convinzioni riformistiche (che il Pci bollava come conservatrici e reazionarie); scoprì il valore innovatore del terzaforzismo di Ugo La Malfa e quello della terza generazione democristiana, insoddisfatta del declino della Dc degasperiana, e tutti assieme, senza bisogno di convegni segreti e di manovre sottobanco, cominciarono a lavorare per il centro-sinistra, cioè per una collaborazione politica (non ideologica) fra democratici laici, democratici cristiani e autonomisti socialisti.

Il centro sinistra come strumento di competizione-collaborazione fu la cifra politica che avrebbe sempre trovato disponibile Maccanico tanto come servitore dello Stato, che come partigiano della libertà contro ogni forma di sopruso. La sua collaborazione alla revisione di istituzioni divenute inadeguate e ormai logore non fu mai urlata, ma sempre penetrante. Diversi Presidenti della Repubblica lo vollero al proprio fianco: per la sua indubitabile dottrina giuridica, come per la sua capacità di persuasione che lui riusciva a suggerire ai vertici dello Stato nei momenti di difficoltà e di evanescenza politica.

Purtroppo Tonino Maccanico è venuto a mancare in uno di tali momenti, forse il peggiore che la Repubblica abbia vissuto. E ciò ci obbliga, tutti, a ricordarlo per le sue doti di moderatore e conciliatore, di un anziano che sapeva dialogare coi giovani ma nel segno della conoscenza, di una cultura unificante, di una fede sincera per una unità nazionale non appiccicaticcia, non in termini contrappositori e pararivoluzionari.

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