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Yen e Giappone, croce e delizia dell’area asiatica

La diffusione dei primi dati di contabilità nazionale relativi al trimestre iniziale dell’anno consente di fare il punto sull’avvio del 2013. I primi paesi per i quali sono state diffuse le stime mettono in luce una evoluzione ancora incerta, con ampie differenze a seconda dei contesti.

Fra i paesi emergenti, sono pochi quelli che hanno diffuso statistiche sull’andamento del Pil a inizio anno. Sulla base dei dati di produzione industriale, l’avvio dell’anno ha mostrato per questi paesi una decelerazione rispetto all’andamento di fine 2012. I dati di contabilità hanno comunque mostrato una crescita relativamente vivace in Corea e Indonesia, economie che hanno un certo peso all’interno dell’area asiatica.

Il premier giapponese Shinzo Abe (a destra)

D’altra parte, non è ancora chiaro quale possa essere il riflesso della svolta in atto nell’economia giapponese rispetto alle tendenze dell’area asiatica. L’ampia svalutazione dello yen comporta difatti una perdita di competitività delle altre economie asiatiche. Vi è quindi la possibilità che la riattivazione del flusso di esportazioni giapponesi possa avvenire a spese della crescita di altre economie dell’area.

I dati relativi al primo trimestre mostrano che la crescita in Giappone è ripartita grazie ad un certo slancio delle esportazioni (che però si erano molto ridotte nel corso dei due trimestri precedenti) ma anche per effetto di un rafforzamento dei consumi delle famiglie e della spesa pubblica. Il Giappone potrebbe quindi anche esercitare un ruolo positivo in termini di rafforzamento della domanda nell’area asiatica.

D’altra parte, non va dimenticato che le imprese localizzate in Giappone sono solo in alcuni casi in diretta competizione con le altre economie dell’area; le imprese giapponese difatti comandano alcune filiere, come l’auto o l’elettronica, i cui concorrenti con frequenza si collocano in altre economie avanzate; in particolare, su questi segmenti i paesi in competizione diretta sono Usa e Germania.

L’Abenomics spiegata dal Financial Times

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