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Governo Letta, esperimento fallito

L’attuale situazione politica rispecchia bene clima incerto di questi giorni. Il governo Letta continua tra incognite e traballamenti. La vicenda di Mukhtar Ablyazov ha portato alle dimissioni di Giuseppe Procaccini e quasi a quelle del ministro degli Interni Angelino Alfano.

Se si riflette bene un errore di questo genere è molto grave, ma non rappresenta sicuramente una tragedia nella gestione degli apparati di pubblica sicurezza. La questione è semmai che come accade per una persona debilitata ormai basta un minimo stranuto per portare il governo al collasso. In tal senso si potrebbe consigliare a Enrico Letta meno retorica decisionista e più fermezza nel gestire i rapporti di forza nella maggioranza.

Le notizie che soggiungono sulla situazione economica del Paese non sono per nulla confortanti. La povertà aumenta in modo perfino visibile a occhio nudo. L’Istat rileva che in un anno vi è stato un aumento del 2,3% della povertà assoluta, la quale ha raggiunto la quota 8%. È una crescita simile solo al prezzo dei carburanti, divenuti tanto cari da generare una perdita completa di competitività del sistema.

Se si pensa che quasi tutto il trasporto procede su gomma, è assurdo che non si diminuiscano le accise. Tanto più che se tutto va così male, non è che con qualche entrata in meno nelle casse dello Stato succeda il finimondo. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi anche guardando le buste paga dei dipendenti, gravate di un cuneo fiscale bestiale, e la classe imprenditoriale che se va bene sopravvive tra mille difficoltà e se va male finisce in tribunale o in carcere.
Seguendo un andazzo del genere viene di chiedersi come si fa a non essere pessimisti. Specialmente nei riguardi di questa maggioranza sostenuta e impallinata di continuo dalle potenze politiche opposte che la esprimono.

Bisogna, in ogni caso, andare avanti.

Tanto per cominciare la nostra storia politica non ha una tradizione di larghe coalizioni. Due sono stati i casi precedenti che hanno una rilevanza nella valutazione della percorribilità scarsa di quest’operazione. La prima è il governo di solidarietà democratica della fine degli anni ’70. Il secondo è l’esperienza tecnica del governo Monti.

Nel primo il Paese era diviso in due dalla cortina di ferro delle ideologie; e comunisti e democristiani tentarono l’unità. Il secondo invece è avvenuto nel pieno della guerra civile attorno a Berlusconi, ed è stato, di fatto, un commissariamento internazionale della sovranità.

L’attuale esperimento Letta non può funzionare, al pari degli altri. E la ragione è semplice. La contrapposizione tra destra e sinistra non riguarda solo il passato ideologico e il presente berlusconiano, ma il corpo della società con i suoi opposti interessi consolidati.

A sinistra vi è una base elettorale passiva che beneficia dello Stato e di organismi istituzionali e internazionali; a destra invece una base elettorale attiva che reclama efficienza, autonomia e liberazione da tasse e regole. È vero che è impossibile non stare assieme in questa Legislatura, ma è impossibile che il carro vada avanti con due cavalli che spingono in direzioni contrarie.
Guardando all’area conservatrice e liberale è chiarissimo che siamo davanti a dei cambiamenti epocali enormi.

La Lega non esiste in pratica più e la destra tradizionale ha visto un lento e inesorabile declino. Oggi è perciò urgente lanciarsi in una riorganizzazione dell’area che renda possibile raccogliere le energie attorno ad un progetto politico che sposti i ceti attivi e propulsivi fuori dall’astensione in cui si sono trincerati.

È questa latente maggioranza silenziosa che deve essere motivata e portata al voto non mediante un pragmatico accordarsi con la sinistra ma con un programma di riforme dello Stato, della pubblica amministrazione e del sistema fiscale.

La prospettiva di una destra democratica non è così utopistica, se si pensa che esiste una certa affinità naturale con la dottrina sociale della Chiesa e un comune orizzonte di valori che ruotano attorno a due premesse fondamentali: la priorità dell’interesse nazionale e la reazione contro la sinistra giudiziaria e i micidiali poteri internazionali. Probabilmente, dunque, in quest’ottica le elezioni non sarebbero un dramma.

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