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Il meraviglioso Mago di Ez

C’era una volta, in un paese lontano, una vecchina che si chiamava Dorotea che viveva felice nella sua casetta a canone calmierato. I generosi regnanti della sua terra provvedevano a versarle una discreta pensione, conquistata al prezzo di pochi anni di lavoro, e si occupavano anche della sua salute, omaggiandola  con la visita dei migliori cerusici che le regalavano anche i medicamenti. Il reame inoltre era poco avido di tasse e prodigo di spese e chiudeva persino un occhio oppure due per non irritare troppo la delicata epidermide del contribuente-elettore.

Sicché Dorotea, beatamente, prosperava.

La sua vita procedeva senza scossoni. Attorno a lei crescevano tanti nipotini che, sebbene orfani di padre, mai avevano conosciuto il terribile morso del bisogno e perciò erano sereni e sazi. Per lei, come per loro, la vita era tranquilla e rassicurante.

Un brutto giorno però un terribile tornado si abbatté sulla terra di Dorotea. Ogni cosa ne fu travolta. La furia dei venti strappò le fondamenta della casa dove fino a poco prima aveva dimorato tranquilla e la condusse fuori dai suoi confini.

Dopo un gran turbinare l’abitazione, ormai ridotta a catapecchia, atterrò in una terra sconosciuta e spaventosa.

“Benvenuta nella terra di Ez”, le disse una misteriosa vecchina, mentre le rifilava due sonori ceffoni per risvegliarla dallo stordimento.

“Chi sei tu?”, chiese Dorotea, per nulla rassicurata dall’aspetto bonario della sua interlocutrice, tozza come un biscotto, chiara di carnagione e di capelli e con gli occhi colore del mare.

“Sono la strega buona del Nord”, rispose quella arrotando le erre. “La tua casa ha schiacciato la perfida strega dell’Est. Grazie a te la terra di Ez sarà più sicura e forte”.

“La strega dell’est?”, chiese Dorotea sempre più confusa.

“Certo: la terra di Ez era minacciata da due streghe malvagie: quella dell’Est, che voleva soffocarci con le sue cattive merci sottocosto e la strega malvagia dell’Ovest, che vuole annegarci con la sua malvagia liquidità gratis. Grazie a te la prima minaccia è stata sventata”.

“Ma rivorrei la mia casa”, disse basita Dorotea osservando la catapecchia. “Insomma, tornare da dove vengo”.

“Ah, mia cara, è molto difficile. Non è previsto dai trattati che una volta giunti qui si possa cambiare idea”, osservò la strega buona del Nord, un po’ più arcignamente del solito.

“Ma io non ci volevo venire”, spiegò Dorotea. “E’ colpa di un tornado”.

“Dovresti esser grata al tornado, invece. Questa terra è bellissima e piena di meraviglie: starai benissimo fra noi”.

“Ma io stavo bene dove stavo”, coi miei nipoti: insomma: voglio tornarci!”, concluse Dorotea ostinata come tutte le persone di una certa età.

“E allora devi rivolgerti al Mago di Ez, solo lui ha il potere di farti tornare indietro”.

Era costui, il Mago di Ez, il signore riconosciuto di quella terra meravigliosa. Tutti conoscevano il suo nome, pochissimi la sua faccia, ancor meno le sue parole, ma tutti temevano il suo enorme potere magico. La sua aura conformava ogni cosa.

“Il Mago di Ez?” chiese Dorotea

“Questa terra non ha regnanti. Il potente Mago di Ez li ha resi inutili: superati”, spiegò la strega buona del Nord.

Dorotea, che non era versata nella politica, nicchiò.

“E dove lo trovo?”, chiese speranzosa.

“Devi seguire la strada verso il Nord e imparare bene le nostre usanze. Il Mago di Ez non riceve certo chicchessia!”

Detto ciò le regalò un tomo pieno di circolari e direttive per renderla edotta su dove si trovasse e su quali fossero le usanze di quel posto.

Dorotea ringraziò la strega buona del Nord e si mise in cammino.

Ad ogni crocicchio risuonavano minacciose le misteriose parole del Mago di Ez che ripetevano: “Siamo in crisi, dobbiamo riformare per crescere”.

E Dorotea pensava, ogni volta, che, quanto a lei, era già cresciuta abbastanza.

Riformare, poi, le faceva venire in mente solo il riformatorio.

Dopo lungo peregrinare finalmente un bel giorno giunse a Marcoforte, la città dove risiedeva il Mago di Ez.

Il Mago viveva in una torre eburnea dalle fondamenta auree che sprigionava in ogni dove un senso di magnificenza. L’uscio esibiva ampi colonnati corinzi decorati con fasci di banconote fuori corso a mo’ di abbellimento. Il porticato, forgiato in vetro prezioso, esibiva una sciccossima “€” stilizzata: il simbolo di Ez.

Dorotea bussò.

“Chi è?” chiese una voce dal citofono.

“Mi chiamo Dorotea”, rispose lei.

“Chi la manda?”

“La strega buona del Nord”

“Ha conosciuto anche quella del Sud?”

“Sinceramente non saprei”.

“Lo saprebbe se così fosse: impossibile non riconoscerla: è una brava vecchia, ma vive al di sopra delle sue possibilità”.

Dorotea si sentì chiamata in ballo.

“E che male c’è?”, chiese indispettita.

“Come che male c’è?”, chiese minacciosa la voce. “Sa con chi sta parlando?”

“Con un citofono”.

“Fa la spiritosa? Qui a Ez c’è poco da ridere: siamo in deflazione”.

“E’ una malattia?”

“E’ un’opportunità: dobbiamo serrare le briglia al popolaccio”.

Dorotea non sapeva assolutamente di cosa stesse parlando.

“Posso entrare?”, chiese.

“Dipende”, rispose il citofono.

“Da cosa?”

“Dobbiamo farle l’esame di convergenza”.

“Ho già fatto tutti gli esami. Ho solo un po’ di glicemia alta e qualche punto di artrosi”.

“E che mi dice delle prospettive di crescita?”

“Bé, alla mia età non è che ce ne siano tante”.

“Mmm..e di sicuro sarà in debito…”.

“Mi mancano un po’ di ferro e selenio”.

“Ah: il deficit di materie prime è una circostanza aggravante sul saldo commerciale. Sicuro che non ha conosciuto la strega buona del Sud?”

“Sono anche in debito di zinco, a dirla tutta, ma con un aiutino…”.

“Si comincia con gli aiuti e non si finisce più. Si deve aiutare da sola. Non possiamo mutualizzare i debiti: è vietato. E poi la logica mutualistica è perniciosa”.

“A me la mutua m’ha fatto solo bene”.

“Insomma: che vuole?”

“Vorrei parlare col meraviglioso mago di Ez”.

“Addirittura. E perché?”

“La strega buona del Nord mi ha detto che solo lui può farmi tornare a casa”.

“Eh”, rispose il citofono, “ma quella è una furbacchiona”.

Dorotea raccontò alla voce misteriosa tutte le sue peripezie. La sua vita felice di una volta, il tornado, l’atterraggio, il lungo peregrinare, la speranza.

Il citofono sbadigliò rumorosamente.

“Per favore”, concluse, “sono disposta a tutto”.

Il citofono drizzò le antenne.

“Anche ad affidarsi al Mago senza discussioni né tentennamenti? A riconoscere la sua suprema supervisione? Ad ammettere la sua implicita superiorità nei giudizi? Ad accettare le sue risoluzioni”.

“Sì”, disse Dorotea con la voce rotta dal pianto.

“E cosa hai fatto finora per meritarti tale onore?”

Dorotea non lo sapeva, quindi andò sulle generali.

“Sono stata mobile e flessibile, come c’è scritto sulle circolari che mi ha datto la strega buona del Nord. E poi…ho schiacciato la perfida strega dell’Est con la mia casa”.

“Ah! Splendida mossa: l’immobiliare è letale”.

“Grazie”

“E dimmi, avresti anche qualche idea per debellare la strega cattiva dell’Ovest?”

Dorotea che non sapeva che pesci prendere rispose decisa.

“Certo, ma non posso mica dirle a un citofono”

Il portone si aprì.

L’interno era magnificente. Pietra e acciaio scolpivano lo spazio e s’udiva appena un fruscio a disturbare l’austero silenzio che gravava sull’aere.

“Accomodati e dimmi”, disse la voce, che adesso spuntava da un altoparlate debitamente celato da una teoria di drappeggi.

“Che le devo dire, mi sembra che stavo meglio quando stavo peggio”.

“Non mi stupisce: ti sfugge il quadro d’insieme. E’ una deprecabile conseguenza della visione nazionaldemocratica. Un retaggio di cui ci stiamo occupando”.

“Chi se ne sta occupando?”

“Noi. Ossia io”.

“Ma allora è lei il Mago di Ez?”

“Questa è un’informazione classificata. E poi non ti riguarda. Hai mai incontrato questa scapestrata?”

Su uno schermo gigante apparve l’immagine di una signora dall’aria plastificata, né giovane né vecchia, ben nutrita e sorridente, abbigliata con un vestito dalle cui tasche spuntavano fasci di bancone verdine.

“Ma che bella signora”, esclamò Dorotea.

“Eccerto – gracchiò l’altoparlante – è così che vi frega. Appare di bell’aspetto e generosa e poi, appena ti distrai…zac: ti accoltella. E’ una mantide irreligiosa”.

“Ma chi è, insomma?”

“E’ la perfida strega dell’Ovest, la mia più acerrima amica. Una sobillatrice. Per colpa della sua prodigalità accusano noi di essere sparagnini. Ma la vedrà…o se la vedrà”.

“Che cosa?”

“Adesso lo vengo a dire a te. Ne parlerò col board. Tu piuttosto cosa faresti per liberarti di lei?”

“Davvero le interessa la mia opinione?”

“No, ma visto che sei qui…”:

“Beh, al mio paese c’era uno che diceva a tutti di essere ricco per farsi trattare da ricco, così tutti lo invitavano e gli regalavano cose sperando di avere dei favori, e finiva che faceva davvero una vita da ricco”.

“Geniale”

“Cosa?”

“La teoria delle aspettative razionali. I classici non deludono mai. E quindi?”

“Un giorno arrivò uno che diceva di essere più ricco di lui. Girava con carriole piene di soldi. Finì che tutti cominciarono a fare favori a lui e l’altro si trovò in miseria. Uno spettacolo tristissimo”.

“Geniale”

“Cosa?”

“La teoria dello spiazzamento competitivo: sono anni, ripeto, anni che lo dico. Aspetta lì, preparo una memoria per il board”.

L’altoparlante si tacque. Dorotea rimase seduta un bel po’, finché non si stufò e iniziò a guardarsi intorno. Lo schermo ora trasmetteva un ghirigoro di grafici e numeri che assomigliavano al salvaschermo del computer del suo nipotino.

Finché a un certo punto non scovò una porticina.

La aprì tremolando, timorosa com’era di finire nei guai, e scoprì che conduceva a una ripida scala che saliva su su per la torre. Il pensiero di casa le premeva sul petto. Era stanca della meravigliosa terra di Ez. Decise di tentare il tutto per tutto.

A milleunesimo gradino, ormai con le palpitazioni, Dorotea si trovò in cima. Aprì un’altra porta e si trovò sul terrazzo del torrione.

Da lassù tutto sembrava straordinariamente ordinato. Teorie di campi coltivati e industrie fumiganti conferivano al paesaggio un’aria rilassante e produttiva insieme. Le persone, piccolissime, sembravano operose formichine. Il cielo era glauco e denso di promesse di un futuro sempre migliore.

Da lassù non si vedeva il tormento che Dorotea aveva scorto sui visi contratti dei tanti abitanti di Ez viaggiando per le lande di quella terra sterminata.

Da lassù non si capiva un bel niente di quello che stava succedendo al piano terra.

La nostalgia si fece struggente e divenne scoramento. Dorotea perse la speranza di tornare da dov’era venuta. Il futuro le apparve come una promessa di ostilità. Ma in fondo era vecchia, poteva pure decidere di ingannarlo.

Salì sul punto più alto, pronta a lasciarsi cadere. Quando una voce la bloccò:

“Mamma”, disse la voce.

Dorotea si girò e vide quello che i suoi occhi si erano disabituati a vedere:

“Mario – urlò – figlio mio”.

Era Mario, infatti, il figlio perduto, scomparso dopo una gita in mongolfiera.

Madre e figlio si abbracciarono felici. Lui le raccontò del suo arrivo fortunoso nella Terra di Ez, guidato dai venti della bufera che l’aveva sorpreso quel giorno disgraziato mentre era di perlustrazione e dell’espediente grazie al quale era divenuto il Mago di Ez. Tutti credevano che fosse sovrumano, ma invece era un figlio di mamma come gli altri.

“Torniamo a casa, figlio mio. Ti preparo la parmigiana che ti piace tanto”.

“Non posso – rispose lui virile – Ho una missione storica: devo cambiare il mondo. Ma se tu vuoi tornare, ti presto la mia mongolfiera. Basta seguire l’interstatale”.

“Dai, ti faccio pure le scaloppine e i saltinbocca”.

Il Mago di Ez guardà la madre commosso. Quanto le era mancata.

“Vabbè. Faccio un volo nel week end”.

E tutti vissero felici e contenti.

 

Il meraviglioso mago di Oz (The Wonderful Wizard of Oz, 1900), cui questa fabula molto modestamente si ispira, è un celebre romanzo per ragazzi di L. Frank Baum, illustrato da W.W. Denslow. Mi è sembrato divertente riproporlo in forma di parodia, essendo esso stesso una parodia, ossia la rappresentazione sotto forma di caricatura di un momento storico dell’economia americana che somiglia in qualche modo a quello che sta vivendo l’eurozona.

Tra il 1880 ed il 1896, infatti, il paese subì una repentina deflazione, che causò un crollo dei prezzi superiore al 20%. Poiché la maggior parte dei contadini dell’ovest erano indebitati con le banche dell’est, quando i prezzi diminuirono, il valore reale dei debiti aumentò e le banche si arricchirono considerevolmente a loro spese. Alcuni politici dissero che la soluzione di quel problema fosse tornare alla libera coniazione dell’argento, visto che a quel tempo l’America aderiva al Gold standard, al fine di aumentare l’offerta di moneta e far aumentare l’inflazione per riequilibrare il livello dei prezzi. Abbiamo già visto altrove come è andata a finire. Tuttavia, pur con dovute differenze, tale dibattito somiglia a quello a cui stiamo assistendo oggi fra i sostenitori dell’euro, che per effetti e caratteristiche ricorda molto il gold standard, e quelli che auspicano il ritorno alle valute nazionali. Semplificando, e me ne scuso, si potrebbe dire che tanto sono deflazionari i primi, quanto inflazionari i secondi.

Tale somiglianza fra oro e euro è anche nel nome della fabula. Oz, infatti, secondo l’interpretazione proposta dallo storico dell’economia Hugh Rockoff nell’edizione dell’agosto 1990 del Journal of Political Economy è la contrazione di Once of Gold , ossia l’oncia d’oro a base del sistema gold standard. Ez è invece, come sappiamo tutti, l’eurozona.

Tale circostanza mi ha convinto ancora una volta di più che la storia si ripete sempre.

Ma in forma di parodia.

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