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Motu Proprio e Ior. Le mosse di Papa Francesco e le contromosse

Nella riforma del codice penale di Francesco un ruolo di primo piano lo ha avuto Vatileaks, il grande scandalo che ha portato all’arresto del maggiordomo di Benedetto XVI, poco più di un anno fa. Documenti e corrispondenza riservata trafugata dall’Appartamento papale, diffusione sui media, rivelazione di notizie private. Accuse durissime, confermate dal Tribunale vaticano e condanna per il corvo (benché non si sia mai chiarito il numero preciso delle persone coinvolte), graziato poi da Ratzinger. Il presidente del tribunale, il professor Dalla Torre, lo dice espressamente: “Chi d’ora in poi si macchierà di tali reati, rischia una condanna a otto anni di reclusione”.

“Proibito distruggere i documenti dello Ior”
Anche quell’accenno alla lotta alla corruzione e alla trasparenza riporta subito alla mente gli stravolgimenti che nelle ultime settimane hanno colpito lo Ior, l’Istituto per le opere di religione. Semplice coincidenza, si fa notare dal Vaticano, sulla tempistica del Motu proprio, che arriva proprio nei giorni in cui la vicenda della banca vaticana è tornata in primo piano. Il vaticanista della Stampa Andrea Tornielli scrive che “secondo diverse fonti, lo scorso 4 luglio la magistratura” del Papa “avrebbe emesso una disposizione che proibisce di distruggere o manomettere i documenti dello Ior”.

Una decisione senza precedenti
Un atto che, fa notare Tornielli, “è senza precedenti, preso autonomamente senza il placet della Segreteria di stato”. Tutto ciò è ancora più significativo perché avvenuto solo tre giorni dopo le dimissioni (a quanto pare “incoraggiate” da Francesco) del direttore generale Paolo Cipriani e del suo vice Massimo Tulli. A determinare il provvedimento dei magistrati vaticani sarebbe stata la presenza dei vertici dimissionari nel torrione di Niccolò V anche nei giorni seguenti la rinuncia all’incarico ricoperto fino a quel momento. Proprio dopo questi avvenimenti (compresa la dichiarazione del presidente dello Ior, von Freyberg, secondo cui l’avvocato Briamonte era stato allontanato dall’istituto mentre veniva visto entrare nel torrione), la magistratura avrebbe disposto che “nessun documento, in qualsiasi formato, può essere distrutto, manomesso o spostato”.

La difesa del cardinale Scherer
E’ il momento di fare luce su tutto, della trasparenza totale. Il messaggio del Papa è chiaro, e quel chirografo di fine giugno lo dimostra: nulla potrà essere nascosto, ogni operazione dovrà essere motivata e spiegata alla commissione pontificia incaricata di indagare sulle attività dello Ior. D’altronde, come spiega in un’intervista al Messaggero il cardinale brasiliano Odilo Pedro Scherer, “nelle strutture vaticane non lavorano solo angeli”. Scherer è uno dei membri della commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior, composta anche dai porporati Bertone, Tauran, Calcagno e Toppo. Arcivescovo di San Paolo del Brasile (la più grande diocesi del mondo), Scherer è stato a lungo considerato un papabile. Per lui avrebbero spinto i curiali guidati dall’ex Segretario di stato, Angelo Sodano, e i bertoniani. Pastore sudamericano ma con un forte legame con i Sacri palazzi: il mix giusto per accontentare tutti, diceva chi ne sosteneva la “candidatura” al papato. Scherer, stando alle indiscrezioni, avrebbe poi difeso la politica attuata dalla Segreteria di Stato riguardo lo Ior anche nelle congregazioni pre-Conclave, attirandosi le ire dell’ala più decisa a rinnovare la governante vaticana.

Lo Ior “rende fattiva la missione della Chiesa”
E quella posizione il porporato sudamericano la ribadisce al Messaggero: “Lo Ior non è una banca, ma un istituto con finalità di servizio che si sta adeguando alle norme internazionali. Personalmente non credo che l’ipotesi di chiusura sia prevalente. Ritengo che la Chiesa abbia comunque bisogno di beni materiali”. Una linea non troppo dissimile da quella dell’ex direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, convinto che l’istituto per le opere di religione fosse necessario per garantire l’indipendenza della Santa Sede. “Non credo che la chiesa possa pensare di prescindere da un’organizzazione amministrativa che rende fattiva la sua missione”, aggiunge Scherer.

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