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Papa Francesco a Rio. Il bilancio di padre Spadaro

“Si fa veramente fatica a stare dietro a questo Papa”, dice intervenendo alla trasmissione radiofonica Tutta la città ne parla su Radiotre padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore della Civiltà Cattolica. E’ lui, appena atterrato a Roma da Rio de Janeiro, a fare un primo bilancio sulla settimana carioca del Pontefice preso quasi alla fine del mondo. “Francesco si è rivelato carico di energie e di forza. E’ stata una Giornata mondiale della gioventù fatta non solo di gesti, ma anche di riflessioni molto profonde che incideranno” anche in futuro. “Uno degli aspetti che trovo più interessanti è il rapporto con i giovani. I giovani non sono più una categoria isolata, questa è stata la giornata del patto sociale. Il Papa ha detto che siamo davanti a una società composta di energie e sapienza, di giovani e anziani che devono dialogare tra loro. Francesco ha parlato dei giovani ‘come pupilla dell’occhio della società’, e senza di loro viene a mancare il futuro. Sono loro il primo punto di riferimento”.

“La sua non è una scelta pauperista”
C’è poi la forte empatia che si è creata con il settantasettenne ex arcivescovo di Buenos Aires, testimoniata anche dai tre milioni di partecipanti alla messa conclusiva sul lungomare di Copacabana. Spadaro ricorda che lo stesso Bergoglio ha detto come questa “non è un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”. Ritengo – prosegue il direttore della Civiltà Cattolica – “che questa empatia sia motivata da molti fattori. Il Papa non ha voluto il pauperismo, bensì una scelta personale di contatto. Le scelte di Francesco sono dettate da un bisogno di contatto diretto e immediato con le persone”. E la preferenza per uno stile più semplice e sobrio anche nei paramenti è da interpretare come un’esigenza necessaria “per entrare in contatto con tutti”.

Il ritorno ad Aparecida
Dopotutto, dice Spadaro, “il suo messaggio ha raggiunto tutti, dalla persona più colta a quella che ha un’esperienza più legata al lavoro. Tutti hanno compreso le sue parole. Il suo è un discorso evangelico. Non è solo un bravo comunicatore – non ha nessuna persona che lo aiuta, in questo senso, nonostante ciò che si è detto da più parti – ma è sempre stato abituato ad avere un contatto diretto con le persone. Questa gestualità, questa sua attitudine comunicativa nasce dalla visione della realtà fondata sulla fede”. Per capirne di più bisogna tornare ad Aparecida, il grande santuario mariano cui Bergoglio è tanto legato: “Aparecida è molto cara a lui sia per la presenza della Madonna nera sia perché lì si svolse un importante incontro (la V conferenza dell’episcopato latinoamericano, nel 2007, ndr)”. I risultati di quell’appuntamento “stanno ora entrando in tutta la chiesa grazie alle parole del Papa pronunciate a Rio: primo pilastro di metodo” del documento finale di Aparecida 2007 “era il vedere. Francesco tiene aperti gli occhi sulla realtà; occhi illuminati dalla fede e dal Vangelo”.

L’uscita in missione
Anche tra le favelas e gli ospedali di Rio, il Papa ha ripetuto che il futuro della chiesa è nella missionarietà, nell’andare verso le periferie esistenziali: “Il Papa invita ad uscire, dice che ‘serve una chiesa in grado di inserirsi nella conversazione delle persone, che serve una chiesa che accompagni il cammino delle persone mettendosi in cammino con loro’. Questo perché la rivoluzione è il Vangelo stesso”.

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