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La notizia scomparsa su Belpietro

La ghiotta notizia, pervenuta da Strasburgo, della condanna dell’Italia, da parte della Corte Europea, per recidività in materia di libertà d’informazione (e di critica), è stata purtroppo ignorata o fornita da alcuni media italiani relegata in pagine interne, ed in carattere minuto, ad eccezione dei giornali e delle tv vicine a Berlusconi. Ciò ha evidenziato le qualità miopi e irresponsabili di media che, per antiberlusconismo parassitario, offendono se stessi, omettendo di segnalare diritti (negati in Italia, esaltati in Europa) sulla libertà di stampa in società democratiche.

È logico che Maurizio Belpietro – il giornalista che ha beneficiato del provvedimento liberale ed egualitario della Corte europea – gongoli per essere stato liberato da una condanna a quattro mesi inflittagli da un tribunale italiano per omesso controllo di una nota scritta da altro collega una decina d’anni fa. Ma la questione implicita nella sentenza della Corte di Strasburgo riguarda qualsiasi giornalista italiano e, soprattutto, tutti i cittadini di questo nostro Paese: che sta smarrendo il senso della giustizia e della civiltà giuridica ingoiando ogni tipo di rospo pur di non affrontare temi caldi che non rientrano nei canoni del conformismo dell’anticonformismo dilagante da troppo tempo.

La libertà di pensiero e d’espressione non è un diritto residuale rimesso alla benevolenza di giudici compiacenti o maliziosamente settari: è un diritto di civiltà giuridica; ed è stabilito da una norma costituzionale che non può essere marginalizzata o aggirata. La libertà di pensiero e di espressione fu una delle grandi Quattro libertà che caratterizzarono la Dichiarazione dei Diritti di Filadelfia (1776) dei padri fondatori della democrazia americana. È uno dei cardini del progetto democristiano per la costituente del 1946-’47 che persino i sovietisti non tentarono di intaccare sapendo che quello era anche il sentimento prevalente nell’Italia postfascista e antitotalitaria. Persino il Sessantottismo (pasticcione e rozzo) lo riprese a proprio emblema aggiungendovi un codicillo sferzante quanto efficace: “Vietato vietare”.

E, invece, al termine dell’anno di grazia 2013, i grandi giornaloni e le tv pagate col canone dei cittadini e con altri aiutini di Stato, non prendono neppure in considerazione quel principio basilare della libertà dell’uomo, solo perché contenuto in una sentenza favorevole ad un berlusconiano, come qualcosa che non merita la dignità di una valutazione positiva, anzi neppure una menzione.
La condizione dei media italiani, servile verso i potenti, feroce verso i potenti decaduti, vili verso i pm diventati onnipotenti, è giunta ad un livello di bassezza e di irresponsabilità incommensurabile. La sudditanza verso un pensiero unico è degno di paesi barbari e in sottosviluppo. L’odio politico è precipitato a livelli di inciviltà e di disumanità che persino nella Corea del Nord, nell’Iran e in Siria paiono barbarismi.

Ne scrivo, oltre che per un atto di solidarietà con un più giovane collega riabilitato da una Corte europea e non da una piemontese (come ci sarebbe dovuto attendere in un paese normale), per un atto di ribellione verso una Casta multimediale che sembra avere smarrito il senso della propria professione e della propria stessa dignità.

 

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