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Alla Leopolda va in scena il girotondo di Epifani, Fassino ed Emiliano

Risuonano le musiche di Jovanotti e Vasco Rossi, sul palco in cui campeggia una Vespa simbolo del dinamismo del made in Italy. Vengono evocati i nomi di Adriano Olivetti, Papa Francesco, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per guardare al futuro con speranza e fiducia. È il clima che si respira nella giornata centrale della “Leopolda 13”, il meeting promosso da Matteo Renzi nel 2009 e che oggi più che mai rappresenta la cornice ideale per la sua corsa alla leadership del Partito democratico. All’indomani dei 100 tavoli organizzati per redigere un programma dettagliato in vista delle primarie di dicembre e mentre la raccolta di versamenti volontari ha superato i 5.000 euro, l’appuntamento si focalizza sui temi cruciali nella campagna del primo cittadino di Firenze.

Il valore del Terzo settore

Il primo viene illustrato da Riccardo Bonacina, direttore del mensile “Vita” che rappresenta il Terzo settore e il mondo del No profit. “In realtà il primo settore – spiega il giornalista – l’unico che con un incremento del 28 per cento di occupati e con 5 milioni di volontari ha creato più lavoro e opportunità negli ultimi anni. E che dunque non può essere ritenuto un comparto residuale, dal punto di vista delle risorse finanziarie, rispetto allo Stato e al mercato. Come conferma la notizia vergognosa secondo cui il Servizio civile volontario impegna attualmente 867 giovani”.

La proposta di legge elettorale

L’altro pilastro del progetto è la riforma elettorale, affidata al ragionamento e alla proposta dello scienziato politico Roberto D’Alimonte. Un meccanismo “in grado di offrire ai cittadini la facoltà di scegliere parlamentari e governo, e rendere i governanti responsabili verso i cittadini”. Finalità che, osserva lo studioso, nelle condizioni politiche odierne può essere soddisfatta da un modello a base proporzionale che assegni il premio di maggioranza in un turno di ballottaggio se nessuna alleanza ottiene il 40 o il 50 per cento dei voti o dei seggi. È il doppio turno di lista o coalizione proposto da Luciano Violante a corredo del regime parlamentare del primo ministro messo a punto nel Comitato dei Saggi nominato da Palazzo Chigi. E che si avvicina alle regole in vigore nelle città più grandi in cui il candidato sindaco vincitore gode di una legittimazione popolare e della maggioranza assoluta dei seggi in consiglio comunale. Riguardo alla scelta dei parlamentari, rimarca il politologo che sostiene l’abrogazione del Senato e non la pura revisione del bicameralismo, l’alternativa è tra circoscrizioni ridotte con liste corte bloccate e voto di preferenza.

Ma una riforma del genere “è frenata dalla voglia di proporzionale presente in tutte le formazioni parlamentari, dal PD al PDL fino al M5S e ai centristi, che si nasconde dietro un alibi potente: il fatto che la legge debba trovare l’adesione di tutti i partiti anziché del paese. In tal modo si mette nelle mani di Forza Italia la chiave del nuovo sistema”. E il centro-destra non vuole né il doppio turno né i collegi uninominali maggioritari. Accettare i due veti, conclude l’editorialista del Sole 24 Ore, equivale al ritorno al proporzionale: “Disastro per l’Italia poiché i cittadini non decidono nulla e tutto è delegato alle forze politiche dopo il voto. Meglio a questo punto tornare a votare con la legge Calderoli grazie a cui il Pd guidato da Renzi può vincere in entrambe le Camere e realizzare in seguito la riforma giusta e innovativa con i cambiamenti istituzionali”. Argomentazioni che provocano nel sindaco di Firenze un impegno solenne a “far passare anche nel Pd il desiderio di proporzionale all’indomani dell’8 dicembre”. Ma che in buona parte sono contraddette dal progetto a cui sta lavorando il suo entourage: un modello con fondamento e impianto proporzionale con voto di lista e preferenze, corretto da sbarramento e bonus di governabilità.

La voce degli amministratori locali

Per Renzi l’esperienza dei sindaci è una stella polare non soltanto nel terreno delle regole elettorali ma anche come laboratorio di innovazione e di scelte politiche. Fra i tanti amministratori locali su cui punta con entusiasmo l’ex fautore della rottamazione spiccano Piero Fassino e Michele Emiliano, accolti da un filmato tratto da “Berlinguer ti voglio bene” di Roberto Benigni. Il primo cittadino di Torino ha scelto la parola “Non avere paura” per dare un nome al futuro. “La stessa per cui molti anni fa mi sono iscritto al PCI. Non nutrire timore verso la globalizzazione da governare, del mercato del lavoro in cui coniugare flessibilità e diritti, della natura verso cui l’uomo non può restare in pura contemplazione, dell’apertura verso chi ancora non ci ha votato, delle diversità che sono la ricchezza del mondo, di vincere”.

Mentre il sindaco di Bari ricorda come la sua presenza sia motivata “dal rispetto verso il carattere multi-culturale del nostro paese, verso le speranze di chi viene in Italia da culture e fedi diverse, verso la lealtà nelle promesse di governo rispetto a piroette e acrobazia di una politica incomprensibile. Verso il militante del Pd invocato e corteggiato nelle fasi pre-elettorali e poi abbandonato a se stesso, mentre meriterebbe uno Statuto ad hoc per contare e incidere sulle scelte del proprio partito a partire dalla formazione dei governi come quello in carica. Verso istituzioni che non devono essere vincolate alla Ragion di Stato bensì al rapporto di verità con il popolo”.

La risposta del segretario Pd

Un riconoscimento sorprendente delle ragioni e rivendicazioni incarnate dal sindaco di Firenze fin dalle primarie 2012 viene dal segretario del Partito democratico Guglielmo Epifani: “L’aumento del debito pubblico che punisce chi nasce nel futuro, la divaricazione dei redditi peggiore di quella provocata da Margaret Thatcher nel Regno Unito, la dispersione della produttività, sono tutte responsabilità del ceto dirigente italiano negli anni Settanta e Ottanta”. Per l’ex leader della CGIL, che rivendica come parola chiave “libertà di scelta e di progettazione del futuro”, la ragione della stagnazione economico-sociale del nostro paese non risiede nel possesso della moneta più forte del mondo, che non ci permette la svalutazione competitiva del passato. Ma ci impone riforme della spesa pubblica riducendo quella corrente e accrescendo quella per investimenti e settori economici strategici, per pagare meno tasse su lavoro e imprese. “Perché il regime fiscale – rimarca il numero uno del Nazareno alla ricerca di un punto di mediazione tra l’orizzonte renziano e la visione socialista ortodossa dell’area legata a Pier Luigi Bersani – penalizza il tessuto produttivo e privilegia il patrimonio immobiliare”.

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