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C’è un’araba Fenice che si aggira per l’Europa

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« che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo appressa erba né biada in sua vita non pasce, ma sol d’incenso lacrima e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. » (Inferno XXIV, 107-111)

Da quando è nato il governo delle larghe intese si racconta di una ritrovata capacità italiana di andare in Europa per “cambiare”. Le parole chiave della rinascita sono “crescita” e “solidarietà”. Come e che cosa concretamente si possa fare ancora non è dato saperlo. Ricordando le parole del Fisiologo cristiano – “non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla” – non passa settimana senza vincolare la stabilità del governo italiano alla promessa del radioso futuro che si sprigionerà durante il semestre italiano di presidenza dell’UE (luglio-dicembre 2014). Anche oggi leggiamo su Formiche.net che ci si potrebbe addirittura aspettare la “riscrittura” o “l’aggiornamento” del Trattato di Maastricht.

Tanta enfasi sulle aspettative di quel semestre suonano come le parole del mozartiano Così fan tutte “è la fede delle femmine come l’araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Uscendo dalle metafore, finora non è stato detto con chiarezza dal governo italiano che il ben noto Trattato di Maastricht, pensato tra il 1989 e il 1991 ma entrato in vigore nel novembre 1993 come Trattato dell’Unione Europea (TEU), è stato modificato da tre Trattati successivi – Amsterdam(firmato nel 1997; in vigore dal 1999); Nizza (firmato nel 2001; in vigore dal 2003); Lisbona (firmato nel 2007; in vigore dal 2009) – e nel 2012, grazie alle fortissime pressioni del governo tedesco di Angela Merkel, è stato ulteriormente modificato dal Fiscal Compact che ha tradito il dettato del Trattato di Lisbona e ha preteso l’inserimento nelle Costituzioni nazionali del “rigore di bilancio” che si raggiunge solo con il suo pareggio annuale. Di modifica in modifica (sempre più pasticciate) si è arrivati anche al Fondo Salva Stati e all’allargamento delle competenze della Banca Centrale Europea in materia di supervisione bancaria (comunemente nota come Unione Bancaria).

Come ha più volte spiegato l’eminente giurista italiano Giuseppe Guarino, il TEU era già stato modificato nel 1997 dal regolamento 1466 emanato dalla Commissione europea (senza alcun dibattito democratico). Sebbene di rango giuridico inferiore, il regolamento aveva modificato lo spirito dell’articolo 104c del Trattato. In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente,cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni.

Di tutto questo, non si trova traccia nelle parole degli esponenti del governo.

Oltre a non riuscire a credere all’araba Fenice promessa dal governo delle larghe intese, mi è difficile immaginare una qualsiasi strategia che non tenga conto di alcuni fattori endogeni e cogenti:

a) le politiche dei “tetti” di spesa e/o di debito hanno flagellato la struttura sociale dei paesi democratici occidentali, favorendo una velocissima polarizzazione dei redditi/benefici e lo sviluppo, ormai consistente, di gruppi politici “anti-” e delle “nuove destre”, dai grillini ai neonazisti greci, austriaci, norvegesi, e spagnoli, dai Tea Party all’UKIP e al Fronte Nazionale francese;

b) il terrorismo ideologico sul debito pubblico e sul deficit di bilancio annuale non trovano alcuna giustificazione storica, visto che un gran numero di stati costantemente “aggiustano” il valore delle loro monete attraverso operazioni di svalutazione più o meno mascherate (primi fra tutti gli USA e il dollaro!) – precludere questo vaso di espansione è anti storico e pericoloso per la tenuta della coesione sociale;

c) il ciclo economico capitalistico si sta modificando a livello planetario, sia spazialmente, spostando l’asse verso Oriente, sia strutturalmente (era digitale; nuove fonti di energie; demografia) e, quindi, attendere la “crescita” in base al modello di business preesistente è sbagliato oltre che impossibile;

d) più che la società della conoscenza (EU 2020, peraltro già disattesa), un eufemismo che nascondeva l’idea di società basate sulle competenze e non sul sapere, serve riconoscere che se l’Europa vuole evitare la scomparsa deve nuovamente essere capace di produrre e diffondere il sapere.

Allora, se di larghe intese si dovrà vivere, in Italia e in Europa, ben venga! Ma che almeno si approfitti dell’opportunità, che non durerà per molto tempo, per dire chiaramente dove sono i problemi e per mettere mano con la massima urgenza al veloce riordino della casa comune europea.

Serve un progetto strategico chiaro, credibile e realizzabile!

Mentre l’incertezza regna sovrana, risuonano i versi: « Come l’araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. »

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