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L’Opa alla Mucchetti me gusta, ma Telecom si sposi con Telefonica

La riforma della legge sull’Opa proposta nella mozione Mucchetti è senz’altro giustificata ed opportuna.

L’Opa scatta oggi nel caso di passaggio del controllo di un’azienda quotata. Fissare al 30% la percentuale di possesso azionario che assicura il controllo è stato uno degli errori legislativi in cui incorre spesso il nostro legislatore (e non solo il nostro, visto il pandemonio suscitato dal limite all’indebitamento federale americano fissato in 16.700 miliardi di dollari).

In certi casi il 30% non basta ad assicurare il controllo, in certi casi basta meno del 30%. Giusto quindi affidare al “giudice” Consob il giudizio su quando si trasferisca effettivamente il controllo per far scattare l’Opa.

Il rammarico è semmai dovuto al fatto che i nostri poteri pubblici si muovano solo sotto la spinta dell’emergenza, quando i buoi sono con una zampa fuori dalla stalla. E ciò dà alla nostra legislazione quello spiacevole sapore di interventi non “generali e astratti” come dovrebbero essere, ma “specifici e concreti”: le nostre, in fondo, sono quasi sempre “leggi ad personam”(o “ad aziendam”).

Per quel che riguarda il merito specifico, legato alla probabile acquisizione del controllo di Telecom Italia da parte della spagnola Telefonica, bisogna fare un ragionamento più approfondito. Il ceto dirigente nazionale ha avuto almeno quattro occasioni per realizzare una politica industriale adeguata per Telecom Italia (il “nocciolino duro” guidato da Fiat dopo la privatizzazione, i “capitani coraggiosi” di Colaninno, la Pirelli di Tronchetti Provera, la Telco a maggioranza italiana con Banca Intesa, Generali e Mediobanca). Abbiamo fallito in tutte e quattro le occasioni, anche per la prolungata crisi economica.

Telecom Italia da sola pare non avere un futuro. Che fare dunque? Impostare un’operazione di concentrazione europea, come dice Letta, che faccia perno su Telefonica e ci assicuri servizi tlc e ict indispensabili per lo sviluppo? Oppure studiare qualche nuovo accrocchio (magari con fondi americani o arabi) che ci consenta di sventolare una fragile italianità fino alla prossima crisi?

Io penso che l’opzione europea sia la più realistica. Del resto, gli spagnoli hanno accettato che la nostra Enel acquistasse la loro maggiore società elettrica, Endesa.

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