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Obama schiacciato tra Siria, shut-down e Hillary

Lo shut down sul debito americano e l’empasse burocratica del Paese sono motivi di amarezza per un Barack Obama che ha ancora tre anni di mandato davanti.

Ma secondo alcuni analisti, specie europei, quella che abbiamo davanti è qualcosa di più. Nientemeno che la fine dell’eccezionalismo Usa, ovvero della pretesa (o diritto, a seconda dei punti di vista) di Washington di regolare i rapporti mondiali secondo la propria mentalità e i propri interessi, intesi nel senso più ampio.

Il corrispondente estero della BBC John Simpson ritiene addirittura che questa fine epoca abbia una data: settembre 2013. Ovvero quando l’intervento militare americano in Siria è stato fermato da una manovra avvolgente della Russia.

E dall’interno giungono critiche puntute, come quelle della commentatrice conservatrice Kathleen Parker, che sul Washington Post ha sbeffeggiato Obama utilizzando la famosa lettera di Putin al New York Times, in cui il presidente russo ha richiamato l’opinione pubblica e la comunità strategica Usa al realismo, ovvero a non considerare la propria nazione come dotata di una missione speciale e moralmente superiore a quella delle altre potenze.

L’offesa di Putin sarebbe, da questo punto di vista, aver ricordato a Washington la lezione di Kissinger, tenace critico dell’idealismo wilsoniano che “troppo vuole e nulla stringe”, e autore di alcuni dei più importanti successi diplomatici della potenza Usa, come l’apertura alla Cina.

Il multipolarismo è un fatto, ma è anche un fatto che gli stessi critici della “debolezza” di Obama rivelino come questa venga considerata sinonimo di realismo. Basti leggere la stessa Kathleen Parker che immagina, in continuità con il globalismo unipolare del marito, Hillary Clinton come presidente nel 2016 con la missione, nientemeno, di “salvare il mondo”.

Al di là delle forzature democraticiste, è comunque vero che in alcuni ambienti e think tank Usa si valuta che i grandi trend tecnologici e sociali globali sono favorevoli agli Stati Uniti, e che questi dovranno favorirli con un wilsonismo attivo in grado di scardinare gli equilibri esistenti, a partire dalle grandi città. È probabilmente su questi temi che si imposterà un’alternativa ai limiti del realismo obamiano, giudicato troppo corrivo rispetto appunto alla realtà multipolare del mondo.

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