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L’immagine del treno in bilico in Liguria è peggio della Concordia

Piove e il paese va a pezzi. L’Italia è paese di grande diversità orografica. Le regioni più belle la Liguria, la Campania, la Calabria, proprio perché dal territorio più vario, sono però anche le regioni più distrutte dall’uomo. Dall’incuria di una politica che ha amministrato e amministra quei territori senza criterio. Con gli uffici del catasto che sono polverosi dopolavoro, con celle, subcelle e particelle tutte a pallino. Dove la realtà non coincide, troppo spesso, con l’anagrafica burocratica.

Dove i sistemi informativi faticano a prendere il sopravvento perché l’automazione è vista con diffidenza, come l’immigrato che soffia il posto di lavoro. Senza capire che i dati vanno poi manutenuti, conservati e custoditi. Aggiornati. E questo compito di ministri della ubicazione delle proprietà dei cittadini dovrebbe diventare il servizio da erogare da parte di questi uffici.

Dove gli uffici tecnici continuano a dare concessioni, a fare “determina” per prendere atto dell’appollaiarsi di nuovi fabbricati su crinali sempre più scoscesi, sempre più impervi. L’abusivismo continua a imperversare in quei territori perché non c’è il senso del pubblico nel nostro paese. Non c’è il senso del rispetto della natura e del territorio. Ci sta bene questa classe di amministratori perché in loro ci specchiamo perché hanno i nostri occhi pronti a chiudersi. Abbiamo tutti bisogno di indulgenza. Ecco. Si salda una pessima coscienza civile con il resto: la peggiore classe politica di tutti i tempi e la grande crisi che ci divora.

Dove il panorama mozza il fiato, certo. Come il panorama sotto gli occhi di quei passeggeri, per fortuna sani e salvi, di quel treno che se ne sta pericolante sulla Genova – Ventimiglia. La linea ferroviaria è ancora bloccata e le difficoltà dell’intervento di rimozione sono inimmaginabili. Perché piove e la terra continua a franare. La natura pare volersi riprendere il suo territorio ridandogli la bellezza d’un tempo quando non c’erano tutte quelle costruzioni in bilico sullo strapiombo.

Quel treno forse pare piccolo agli occhi di un drone, ma è peggio, peggio della Concordia accasciata sul fondale dell’isola del Giglio. Sono passati già due anni dal naufragio. E ci fu morte per acqua. L’Italia tutta ha perso la faccia con Schettino quella sera. E a due anni distanza per acqua sta morendo il paese che non concepisce la manutenzione. Che non capisce che la più grande opera che ne rilancerebbe l’economia è la manutenzione dell’esistente. La messa in sicurezza di infrastrutture, di ponti, di zone a elevato rischio idrogeologico. Un’attività che dovrebbe attuarsi più rimuovendo che costruendo. Aggiornando software, aggiornando procedure. Un’attività di ingegneria di sistema complessa e articolata.
Anziché continuare a parlare facendo ricorso a stantie categorie come “Terza Repubblica”, dovremmo capire che questo paese vive la sua terza età. E’ pieno di acciacchi e di problemi. E senza un check up rigoroso tanti mali che stanno per insorgere corrono il rischio di rimanere latenti per poi manifestarsi drammaticamente.

Ponti, viadotti, le strade ferrate non ad alta velocità, metropolitane, edifici storici, siti archeologici e i tantissimi quartieri abusivi che si sono accresciuti nel tempo in tanti, troppi luoghi d’Italia dovrebbero diventare delle bandierine rosse sulle cartine geografiche che tutti coloro che vogliono impegnarsi in politica dovrebbero avere di fronte alla propria scrivania.

La politica italiana è stata in parte rinnovata in nome di un giovanilismo rottamatorio che ha trovato un largo consenso nell’opinione pubblica. Cambiare, specie per un paese così refrattario al cambiamento, è sempre un bene. Ma oggi non basta. Ci vuole un piano su cui incardinare il programma per il futuro che deve mettere insieme il lavoro con la tenuta delle fondamenta fisiche dei nostri territori.

La storia passata ci ha ammonito sulle tragedie che vengono dal primato della tecnica sulla politica. Le api di Zapparoni e l’intelligenza di Czentovich, nelle biblioteche, sono lì a ricordarcelo. La storia recente, la didascalia giornalistica, ogni giorno, non fa che raccontarci degli effetti negativi del primato dell’economia sulla politica.
Oggi internet mette a disposizione molto. Ma l’idea diffusa che le economie ripartiranno grazie alla rete come tanti sedicenti maitre a penser vanno predicando è sbagliata. Larry Page, CEO di google, novello Zapparoni, punta come fiches molti dei proventi del suo motore di ricerca sull’innovazione che verrà dai servizi legati alla miriade di informazioni che transitano attraverso le sue potentissime macchine che ci osservano a ogni nostro passo digitale. Ma come farà il surplus virtuale a consolidare le fondamenta di scuole, a rifare gli argini di fiumi stretti tra troppo vicini insediamenti abitativi, a rifar partire le scale mobili delle nostre metropolitane?

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