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Sicuri di volere le preferenze?

“In che modo si votava? Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la ‘regola del tre’. Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi, variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto”. Queste parole le pronunciò Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati il 30 maggio 1924, chiedendo l’annullamento per brogli delle elezioni vinte da Benito Mussolini. Il 10 giugno seguente il deputato socialista riformista fu sequestrato ed assassinato.

Che cosa c’entrano Matteotti e il fascismo chiederanno i sostenitori del voto di preferenza, coloro che criticano l’Italicum (che anche noi giudichiamo una pessima legge, ma per altri motivi) perché l’elettore non può scegliere il proprio rappresentante visto che i nomi se li troverebbe già stampati sulla scheda? E’ vero, non siamo ancora arrivati a quel punto anche se ormai sono le procure della Repubblica a svolgere la funzione che in Iran è attribuita ai Guardiani della rivoluzione: quei signori pieni di pelo e di turbanti a cui è affidato il compito di dare il loro benestare ai candidati alle elezioni.

Ci permettiamo allora di raccontare una storia più recente, ai tempi della Prima Repubblica, magari quando ormai era iniziato il suo inesorabile declino che poi la vide schiantarsi in un attimo, quasi come i regimi comunisti della Europa orientale dopo il crollo del Muro di Berlino nel novembre del 1989. Lo scenario è quello di una delle tante città del Mezzogiorno (dove ben pochi elettori evitavano di esprimere il voto di preferenza). Il sabato pomeriggio al momento dell’insediamento del seggio uno scrutatore (magari anche altri se c’è accordo) sottrae, dopo che vi sono stati apposti i timbri e le firme, una scheda tra quelle eccedenti. All’uscita, la scheda, tuttora bianca, viene consegnata al capo-bastone di un candidato, lo stesso che, la mattina dopo di buon ora, si siede al bar nei pressi del seggio e aspetta gli elettori a cui è stato imposto, con le buone o con le cattive, un particolare voto di preferenza.

Il capo-bastone non vuole correre rischi: così consegna al “cliente” la scheda già compilata, invitandolo a nasconderla  in tasca, a ritirare un’altra scheda al seggio, a recarsi in cabina, ma ad inserire nell’urna quella “buona”, riportando, poi, la scheda da lui non utilizzata al capo-bastone, che così può rifare la medesima operazione con un altro elettore “amico”. In questo modo, la staffetta delle schede – bianca-compilata-bianca-compililata-bianca, ecc.- può durare a lungo e, alla fine, resta una scheda bianca da rimettere tra quelle non utilizzate affinchè il conto torni. Un meccanismo perfetto, a lungo collaudato. Naturalmente occorrono prudenza, discrezione ed organizzazione; magari anche risorse, dal momento che non tutti gli elettori della catena di S.Antonio sono anche militanti di quel partito e di quella corrente per cui si è predisposta la trafila.

Qualche ex comunista del Pd (a quando la ‘’Giornata della memoria’’?) dirà che loro quelle cose non le facevano. Ed è vero. Solo che ai militanti era imposta (ed invero accettata) una severa disciplina di partito che li induceva ad esprimere la preferenza per quelli che erano indicati nel bigliettino stampato avuto dal segretario di sezione. Tutto era sotto controllo; se qualcuno avesse sgarrato lo si sarebbe scoperto, come con quella ‘regola del tre’ che lamentava il povero Matteotti. Ma nel 1993 non ci fu un referendum che ridusse ad una le preferenze possibili e proibì di contrassegnarle con il numero di lista? E’ vero. Ma quale fu il risultato effettivo? Soltanto quello di moltiplicare il valore “clientelare” e commerciale della singola preferenza. Allora non lo sapevamo, ma Mariotto Segni, come uomo politico, era pericoloso per sé e per gli altri.

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