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Cina, ecco cosa bolle nel calderone uiguro dopo la strage di Kunming

Il bilancio di vittime della strage nella stazione di Kunming, in Cina, è di 33 morti, tra cui quattro assalitori uccisi dalla polizia, e decine di feriti, oltre 130.

L’IDENTIKIT DEGLI ATTENTATORI
Sabato, attorno alle 21:30, almeno in otto vestiti di nero, a volto coperto e armati di coltelli hanno attaccato passeggeri e vigilanza nella stazione dei treni nel capoluogo della provincia sudoccidentale dello Yunnan. Oggi è stata data notizia dell’arresto dei tre sospetti latitanti dal fine settimana, mentre una donna era già da due giorni in stato di fermo.

LE FORZE SEPARATISTE
Tutto nell’attesa che mercoledì si apra la sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo, l’organo legislativo cinese che dovrà tradurre in norme, le riforme decise durante il plenum del Partito comunista lo scorso novembre. Uno dei periodi sensibili per la dirigenza cinese. La pista indicata ufficialmente è quella del “forze separatiste dello Xinjiang”, regione all’estremo occidente della Cina, abitata in gran parte da uiguri, minoranza turcofona di religione islamica, già teatro di assalti all’arma bianca, in un conflitto strisciante con i cinesi han, le cui ragioni hanno cause sia sociali e di disuguaglianza sia culturali.

UN ATTO DI TERRORISMO?
Quello di Kunming è stato “un atto di terrorismo”, ha spiegato Raffaello Pantucci, Senior Research Fellow al Royal United Services Institute di Londra, esperto di radicalismo e contro-terrorismo, con particolare attenzione per l’Asia centrale e la Cina, in una conversazione con Formiche.net.

La versione ufficiale cinese sembra ormai certa della pista uigura, condivide questa lettura?
È la pista che si sta seguendo. Ci sono rumors di testimoni che parlano di uiguri. È stata mostrata una bandiera nera ricollegabile al separatismo. Ne parla anche il governo. Lo stesso tipo di attacco, con coltelli, si è già visto in passato nello Xinjiang, anche se i bersagli allora sono state stazioni di polizia o comunque istituzioni locali.

Alcuni esperti parlano di un punto di svolta e di un innalzamento del livello del conflitto. Vede questo fenomeno?
È difficile dire se si tratti di azioni che rispondono a un centro o di casi di emulazione. Se si guarda al passato, almeno dal 2009 con le sommosse popolari di Urumqi, abbiamo assistito a una crescete violenza.
Lo scorso anno i morti sono stati oltre cento, forse oltre 130. Lo scorso ottobre c’è stato inoltre l’incidente di Pechino, il primo del suo genere, con il tentativo di un uomo di farsi esplodere a piazza Tian’anmen, sotto il ritratto di Mao, assieme alla moglie e alla madre. Vediamo il crescere della rabbia, che travalica i confini della provincia.
Anche perché fatti del genere avvenuti nello Xinjiang non fanno più notizia. Episodi al confine con il Kirgizistan e nello stesso Kirgizistan, con 11 morti, hanno raccolto poco interesse globale.

Esiste un movimento organizzato?
Conosciamo il cosiddetto Turkestan Islamic Party. Si ritiene abbia basi in Pakistan, pubblica video e una rivista bimestrale, in cui mostra  propricampi e immagini delle famiglie dei militanti. Ma è difficile dire se ci siano collegamenti. Nel caso delle violenze di aprile a Bachu, che fecero 24 morti, tra cui 15 poliziotti, e a ottobre ottobre dopo l’episodio di Pechino, il leader del TIP, Abdullah Mansour, parlò di atto positivo, in accordo con il jihad globale, ma senza fare rivendicazioni.

Sicuramente Pechino vanta un buon controllo delle frontiere, anche per merito dei contatti con gli altri Paesi, per evitare intrusioni dall’estero. Questo tuttavia non vuol dire che non possa esistere un gruppo organizzato all’interno. Se guardiamo alle modalità degli attacchi sono sempre simili: assalti con i coltelli o ordigni rudimentali. Questo fa pensare a una sorte di coordinamento, ma potrebbe trattarsi di emulazione.

La stampa cinese ha accusato i giornali occidentali di adottare molte più cautele nel parlare di terrorismo rispetto ad altri casi. Secondo lei è così?
La posizione esprime un sentimento cinese. Da quello che sappiamo, con l’assalto contro civili, a Kunming si è trattato di terrorismo. In altre occasioni non è stato così, ad esempio con le violenze a Urumqi nel 2009, allora l’evoluzione della vicenda fu diversa. Ma a non è questo il caso.

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