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Assicurazioni Generali, come sta ruggendo il Leone con Greco

Il Leone di Trieste è un po’ più internazionale e meno legato alle logiche del Salotto buono. Che, anzi, quasi non esiste più, proprio grazie alla metamorfosi che Generali stessa ha avviato con il ceo Mario Greco.

I SEGNI DEL CAMBIAMENTO

A segnare il momento di svolta è stata l’assemblea del 30 aprile. Diversi gli elementi di novità. Il primo è il tempo: quattro ore e mezzo per approvare gli otto punti all’ordine del giorno, molto meno del solito. Con una buona partecipazione, il 46% del capitale presente sia all’inizio che alla fine dei lavori, mentre in passato spesso diminuiva in corso d’opera. E poi Generali ha annunciato che raggiungerà “prima del tempo” gli obiettivi di rafforzamento patrimoniale delineati nel piano industriale. Una volta ristabilita la propria reputazione di compagnia “solidissima”, rivedrà “in senso migliorativo la politica dei dividendi”, che attualmente prevede un pay-out poco al di sotto del 40% ma è comunque a “livelli inferiori alle capacità di Generali”.

GLI AZIONISTI STRANIERI

La modernizzazione delle Generali è dimostrata anche da un altro fatto: i fondi esteri hanno aumentato in modo significativo la propria presenza, passando dal 9,2% del 2012 al 15,2% di oggi. Un segnale che gli sforzi fatti per aumentare la trasparenza, e rompere con un passato caratterizzato da operazioni non sempre chiare (come alcuni investimenti compiuti dagli ex amministratori Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, secondo gli attuali vertici del Leone) sono stati apprezzati. “Le operazioni – ha spiegato Greco -erano state state costruite in modo tale da essere poco visibili all’interno della società”.

IL FRONTE VENETO

Non la pensano tutti allo stesso modo, certo. Enrico Marchi, il presidente di Save e patron della finanziaria Finint, proprio una delle società coinvolte in quelle operazioni, ha attaccato duramente Greco, accusandolo di “vivere sulla precedente gestione”. Generali aveva in Finint una quota del 10% per un valore di libro di 200 milioni, dimezzata grazie a recenti recuperi. Nei confronti di Veneto Banca, invece, l’esposizione ammonta a 300 milioni, parte in azioni e parte in obbligazioni della banca. La compagnia confida anche di recuperare l’esposizione nei confronti di un veicolo con sede a Nevis, parte dello Stato insulare di Saint Kitts ad Nevis nelle Piccole Antille, che fa capo alla Manaco, società anonima lussemburghese.

CHE NE E’ DEL SALOTTO BUONO

Nonostante l’aumento degli esteri, il quadro degli azionisti forti è sostanzialmente invariato: Mediobanca al 13,24%, Fsi (Cdp) al 4,48%, Delfin al 3%, De Agostini al 2,43%, gruppo Caltagirone al 2,23%, Fondazione Cariplo all’1,52%, Inv Ag all’ 1,35%, gruppo Edizione (Benetton) allo 0,96%. Ferak all’1,02% del capitale. Però, come ha spiegato il presidente Gabriele Galateri, è la governance a essere rinnovata, “adeguata e moderna” e lo è proprio grazie alla “decisa spinta di Mediobanca, guidata da Alberto Nagel, e dei nostri principali azionisti, Caltagirone, De Agostini e Del Vecchio”. Una scossa al “vecchio e polveroso capitalismo reale all’italiana – come scrive Massimo Giannini su Repubblica – … un cambio di fase, che non riguarda solo il Leone di Trieste, ma attraversa l’intero sistema di potere che un tempo si chiamava, con un enfasi retorica malriposta, il Salotto Buono”.

VIA LE PARTECIPAZIONI STRATEGICHE

Mario Greco aveva promesso che avrebbe detto la parola fine all’uso di detenere partecipazioni strategiche e lo ha fatto, cedendo lo scorso settembre una parte della quota Telco a Telefonica, al doppio del valore di mercato. “In giugno – continua Giannini – con lo scioglimento di Telco, Generali potrà vendere le azioni residue sul mercato. Di lì tutto è cominciato, e tutto è cambiato. Non solo in Generali, ma anche in Mediobanca (dove Alberto Nagel ha a sua volta aperto il nuovo corso di Piazzetta Cuccia) e poi in Rcs, nella stessa Telecom, persino in Pirelli e in Intesa San Paolo. Si sciolgono legami incestuosi, si rompono partecipazioni incrociate”.

LE PROSSIME SFIDE

Le sfide ovviamente non sono finite. Ce n’è una che riguarda i conti che nonostante un 2014 “complesso” sono attesi in miglioramento rispetto agli 1,9 miliardi dell’utile 2013 e l’obiettivo di riportare la società a essere leader di mercato nel 2015. Il quadro macroeconomico resta caratterizzato da una ripresa che in Europa è ancora troppo debole e nel mercato assicurativo ci sono nuovi concorrenti che, pur essendo ancora piccoli e marginali, stanno crescendo. E poi le cessioni: la prospettata vendita di Bsi “è un’operazione da fare con attenzione. Il valore di Bsi è una cosa cui badiamo con molta cura. È un asset complesso, presente in Asia, Europa e America Latina, cosa che lo rende unico, per certi aspetti. Bisogna procedere con calma e cautela”. Serve “il tempo necessario per arrivare ad una vendita” a un prezzo vantaggioso. Last but not least, Greco ha rivendicato di aver combattuto, insieme all’intera compagnia, “una vera e propria battaglia per sei mesi” con l’agenzia Standard & Poor’s per mantenere inalterato il proprio rating, che è superiore a quello della Repubblica italiana. Battaglia vittoriosa, perché alla fine S&P ha confermato il rating, cosa che è avvenuta solo in 5 casi analoghi su 150.

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